Bora Ćosić (1932) è uno dei più noti scrittori della ex Jugoslavia. Nasce a Zagabria e nel 1937 si trasferisce con la famiglia a Belgrado, dove più tardi intraprenderà gli studi di filosofia. Nei primi anni cinquanta collabora con diverse riviste letterarie, si dedica alla traduzione di alcuni autori classici della letteratura russa, tra cui Majakovskij e Chlebnikov, ma soprattutto diventa, giovanissimo, una delle personalità di spicco della vita culturale belgradese. Scrittore caustico per eccellenza, intellettuale anticonformista e déraciné, malvisto dalle autorità ma amatissimo dai suoi lettori, è sempre stato un autentico “apolide dello spirito”, come testimonia il suo Dnevnik apatrida [Diario di un senza patria, 1993], scritto durante le guerre jugoslave. Nel 1992, in seguito al collasso del proprio Paese e in aperta opposizione al regime di Milošević, si trasferisce prima in Istria, nella casa estiva di Rovigno, e poi a Berlino, città nella quale vive tuttora in una sorta di “asilio-esilio” e a cui ha dedicato un’intensa raccolta di poesie dal titolo I morti (2006).
Titolo: Il libro dei mestieri
Autore: Bora Cosic
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Edito da: Zandonai Editore
Prezzo: 14 euro
Genere: Letteratura internazionale
Pagine: pag. 130
Voto:
Trama: Belgrado, anni quaranta. Nell’appartamento di un caseggiato popolare la vita quotidiana di una numerosa famiglia è movimentata da personaggi bizzarri e arruffoni, titolari dei più svariati mestieri – alcuni tradizionali, altri decisamente meno – dietro cui si celano incerte vocazioni, singolari doti artistiche e originali visioni del mondo. La città, come il già precario equilibrio domestico, sono sconvolti dall’irruzione della Storia: prima la guerra e il dramma dell’occupazione nazista, poi l’avvento dei liberatori, che porta con sé una sanguinosa scia di vendette e la retorica grottesca sull’avvenire radioso della nuova società socialista. A registrare gli eventi è lo sguardo ingenuo e implacabile di un bambino, che con graffiante e laconica veracità scruta il mondo dei grandi, in un caleidoscopico carosello di scene chapliniane, esilaranti aneddoti e vicende tragiche.
Beffarda epopea familiare – quasi una sit-com in salsa balcanica – che combina momenti di irresistibile comicità a parentesi di malinconico disincanto, “Il libro dei mestieri” è unanimemente riconosciuto come uno dei romanzi cult della letteratura jugoslava.
Recensione:
di Debora
Ancora una volta vi parlo di un libro sicuramente poco conosciuto al grande pubblico di lettori, ma credo non faccia mai male discostarsi dalle solite letture che io definisco commerciali per prendere, invece, la strada di generi diversi, sconosciuti e, purtroppo, poco apprezzati. Io faccio sempre una scorpacciata di questo genere di libri quando vado a visitare il Pisa Book Festival, un’evento che punta l’attenzione sugli autori emergenti o poco conosciuti in Italia ma famosi in altri stati. Ho adocchiato una casa editrice che propone autori dell’est europeo (ma non solo): la Zandonai Editore.
Mi trovo fin dalle prime pagine trascinata in un’atmosfera familiare fatta di racconti, aneddoti, curiosità, avvenimenti del periodo storico in cui vivono i protagonisti: il 1940 a Belgrado. Di certo, si nota subito che per l’autore non è importante descrivere minuziosamente i luoghi in cui si svolge la storia, la città con le sue strade o i suoi edifici: potremmo essere in qualsiasi altra città in tempo di guerra, se non fosse per la presenza, nel testo, di alcune parole in lingua serba che rimandano a quei luoghi.
Quello che è fondamentale sono le caratteristiche dei personaggi, non tanto quelle fisiche quanto le particolarità del carattere. Attraverso le chiacchiere sui più svariati argomenti che si fanno in famiglia e gli interventi dei vari componenti, capiamo il loro punto di vista e le loro particolarità; infatti, aprendo a caso il libro, possiamo trovare esposte, nel giro di una pagina, le idee di tutti i membri della famiglia: “Il nonno dichiarò: … Lo zio disse:.. Le zie aggiunsero:… La mamma confermò…Lo zio si oppose…Il nonno chiese.. e così via per tutto il libro. È un circolo continuo di idee tra tutti i parenti, dove l’autore ci dice chi parla, aggiunge un verbo che specifica l’azione e poi inserisce i dialoghi diretti.
La lettura è piacevole perché ironica, con dialoghi familiari che lasciano spazio ad un linguaggio libero, quasi indecente, a volte, nonostante la presenza del piccolo di casa, che è il narratore della storia. Molti aneddoti raccontano i mestieri in tempo di guerra, nei quali troviamo sempre e comunque la famosa arte di arrangiarsi, di essere in grado di cambiare mestiere, di impratichirsi con più attività a seconda di quello che si vuole ottenere. Ogni abilità può tornare utile nella vita, specie in condizioni così complicate. Tutto è raccontato attraverso gli occhi del più piccolo della famiglia; la visione infantile rende ancor più esilaranti i fatti raccontati.Naturalmente il parlare dei mestieri è solo un pretesto per farci riflettere su molti altri temi che vengono trattati nel libro, come le difficoltà economiche, che comportano carenza di cibo e generi di prima necessità, e le complessità di una vita senza elettricità.
“Più tardi capii anche che per scrivere di getto una storia su un qualsiasi argomento è necessario soltanto invecchiare. Come dimostra questo caso, ovvero la storia sul nuoto. Basta solo saper collegare tra loro tanti esempi sconclusionati intorno allo stesso tema, che a sua volta – ed è la cosa peggiore – con questi esempi non ha quasi nulla in comune. Prima pensavo che tutte le cose dovessero essere unite da un nesso qualsiasi, e solo dopo ho scoperto che entrano molto più facilmente in relazione l’una con l’altra se tra di loro non vi è alcuna affinità o apparente connessione”