Di Edoardo Bennato oggi si parla davvero (troppo) poco. Eppure, negli anni Settanta è stato forse il più amato tra i cantautori e ha creato almeno una trentina di brani che possono essere considerati dei classici della nostra discografia. Canzoni come Salviamo il salvabile, Un giorno credi e Meno male che adesso non c’è Nerone hanno rappresentato la colonna sonora di una generazione immersa in una confusa realtà quotidiana fatta di austerity, di scontri di piazza e di terrorismo che via via diventava sempre più imprevedibile e feroce. Una carriera tutta in salita, quella di Bennato, che ha dovuto lottare con le unghie e con i denti per conquistarsi il proprio posto al sole. Il cammino, dai primi concertini con i fratelli nella Napoli degli anni Cinquanta passando per il trionfo di San Siro nel luglio 1980 di fronte a 80mila persone in delirio, fino a giungere al recente inno per i 150 anni dell’Unità d’Italia, non è certo stato una passeggiata. Se Edoardo ce l’ha fatta, è stato grazie alla sua (sana) rabbia, e alla ferma convinzione nel proprio talento. Per strano che possa sembrare, è la prima volta che la storia di Bennato viene narrata da qualcuno che non sia un fan dichiarato o facente parte dell’entourage dell’artista. Venderò la mia rabbia è stato scritto avvalendosi degli archivi a disposizione (dischi, libri, riviste, quotidiani, Teche Rai) e intervistando i più stretti collaboratori del cantautore/rocker di Bagnoli, fratelli (Eugenio e Giorgio) compresi.
Ricercatore e scrittore, appassionato di pop angloamericano, è autore, con Marcello Giannotti, del saggio Teddy-boys rockettari e cyberpunk. Ha scritto di musica per «Tuttifrutti» e «Il Mucchio Selvaggio » e ha collaborato con la Rai, l’ADN Kronos e varie radio private. Attualmente coordina la testata web «Extra! Music Magazine» (www.xtm.it) e collabora con il bimestrale «Musica Leggera».
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