Se cerchiamo un campione della letteratura fantastica, è necessario incontrarci con i racconti di Vittorio Baccelli, autore lucchese che ha passato già molte primavere, ma che ancora non riesce a frenare la sua effervescente fantasia. Di lui si accorse Claudio Marabini quando premiò un suo racconto come il migliore in un concorso nazionale indetto dal quotidiano La Nazione. La sua produzione letteraria è sterminata ed elencare le sue opere riempirebbe molte righe di questa recensione. Fra tutte, indichiamo quella che lo ha reso famoso, e che ha avuto innumerevoli e continue ristampe: “Storie di fine millennio”, uscito nel 2000. Ma anche “Fiocco di neve a… More >Fargo”, del 2004, “Quando il Cronodrome implose” dello stesso anno, “La cavalletta non si alzerà più”, del 2008 e infine, del 2010, il suo primo romanzo, “Il libro dell’Opificio”. Che è il libro oggetto di questo scritto, visto che rappresenta una novità per Baccelli, specializzato nella misura del racconto, a lui molto congeniale.
Baccelli, laureato in lettere, è uno scrittore versatile capace di passare dal giornalismo al racconto, al romanzo, alla poesia. Animatore culturale irrefrenabile, è una delle voci più attente alle novità, pronto a coglierne gli aspetti positivi e a respingere al mittente tutto ciò che sa di stantio e di déja vu. Veniamo al romanzo.
Siamo nel futuro, dove dominano le intelligenze artificiali. Il lettore non abituato al loro linguaggio si avventura in un mondo effervescente, in cui l’impossibile che ha rappresentato un limite per l’uomo, è stato valicato e ci ha introdotto su di un percorso che sembra nascere direttamente dentro il mistero dell’universo. Un percorso che si interroga su che cosa sia veramente l’uomo, e su ciò che è la materia che compone l’universo, talmente sorprendente che il suo tutto è un tutto senza fine, come senza fine sono le sue manifestazioni. Flavia e Tilde iniziano l’avventura che ci guiderà nei meandri che collegano tra di loro i cerchi concentrici di un’evoluzione che ha al suo centro la mente umana, non più legata alla corporeità, ma trasformatasi per la sua stessa forza in energia universale. Non è tanto il computer a dominare e a governare le azioni di questi nuovi umani, ma la medesima energia terribile e misteriosa, divenuta l’inesorabile despota che ha frantumato la vecchia mente e superandone i limiti ha di fatto creato nuove e invisibili gabbie alla libertà dell’uomo futuro. L’ambiente non è più l’oggetto di una contemplazione felice, ma l’espressione autoritaria e violenta di una nuova divinità. Il rudere di un grosso Opificio che coincide con un intero pianeta abbandonato a sé stesso (“abbandonato, perché stata abbandonata una via biotecnologica di sviluppo”) sembra essere un’espressione dai molti significati simbolici, e intorno ad esso si coagulano curiosità e vicende, nelle quali una umanità multiforme è coinvolta. Il romanzo risulta così una raccolta di accadimenti che appartengono a vari gradi evolutivi in cui i personaggi non sono altro che “i pionieri di una nuova frontiera” e la realtà a cui siamo abituati è trasformata in un oltre e in un più che non riusciremo mai a vedere e a intendere del tutto, in cui l’evoluzione della mente ci immerge nei vari strati dell’evoluzione tanto materiale quanto spirituale. Un po’ come se da un invisibile apertura fossimo capitati in un mondo meraviglioso e sorprendente quale quello che apparve, ad esempio, all’Alice di Lewis Carroll. Ci sono “Polli e tacchini stranissimi, giganti, sicuramente mutanti” e c’è anche un prato dove tante farfalle mutanti danzano. Come pure dei tappeti terribili che paralizzano e uccidono. La bonifica che i protagonisti intraprendono nell’area dell’Opificio appare come il risveglio di un sogno e il desiderio di trasformarlo in realtà. Tutto ciò che ha animato la fantasia del vecchio mondo, trova nell’Opificio la sua occasione di realizzarsi. Baccelli mescola sapientemente il mondo attuale con il mondo fantastico caratterizzato da un futuro effervescente e incredibilmente evoluto, così che i protagonisti, ad esempio, vanno a cavallo, bevono il caffè come comuni mortali, ma al contempo si trovano a contatto con ambienti e personaggi ancora più progrediti. Succede ai normalissimi (si fa per dire) François e Rezia quando incontrano Tilde e sua figlia Flavia, sempre protette da una “barriera energetica”, in grado di mutare “a piacere i piani dell’esistente”. Il romanzo ci accompagna attraverso capitoli che hanno tutti la scansione veloce del racconto, che resta così una misura intonata e familiare all’autore. Le avventure si susseguono con un collegamento quasi impercettibile e ogni capitolo potrebbe avere una propria autonomia. Baccelli, nel mentre ci avvolge nelle maglie del futuro fantastico ci dà anche un messaggio indiretto: tutta l’aria dell’Opificio è ricoperta di reperti, di detriti, di oggetti che, pur mirabolanti, sembrano essere i resti di una qualche tempesta geologica che ha desertificato il pianeta. Niente sarà mai stabile, sembra suggerirci, neanche nel futuro più immaginifico. Tutto si deteriora, e quando l’uomo vi arriva, il futuro è sempre altrove. Riusciamo solo a toccarne le marginalità. L’intensa attività svolta dai protagonisti sembra orientata a ricostruire qualcosa che dai residuati che li circondando formi una realtà nuova. Si trasferiscono da un luogo all’altro attraverso bolle che viaggiano a pochi centimetri dal suolo. Si viaggia perfino “per scoprire i limiti degli universi”. Osservano spesso cespugli ruotanti e farfalle multicolori. La sera, in cielo, osservano due lune. È un mondo al di là della Terra, dove sembra essersi prodotta una qualche deflagrazione che ha sconvolto la perfezione che vi si era raggiunta. La perfezione, dunque, come un limite alla creazione, un punto di arrivo destinato a non resistere e ad invocare una nuova perfezione. Una sfida infinita. I protagonisti, che sembrano provenire da esperienze e mondi diversi, sono animati da curiosità e volontà, ma non sempre riescono a dare un significato preciso a ciò che scoprono. La perfezione è sempre, ossia, alle nostre spalle. Brani della storia passata vengono evocati come punto di congiunzione, quasi una guida lungo il percorso sconosciuto, nuovo e irreversibile. Di ciò che passa e di ciò che si distrugge resta sempre la memoria, dunque, ed essa non muore mai. Finché si incontra una delle sezioni della storia più intriganti, “Casa dei Morti, Casa della Vita”, in cui l’antica lotta tra il bene e il male (raffigurato da un signore con la testa di cane) viene resa con l’atmosfera cupa di una rivalità supertecnologica. La scrittura si fa più suggestiva e coinvolgente. La stringatezza caratteristica principale dell’autore si arricchisce di un humus che mette in moto la fantasia del lettore, rendendolo partecipe e interessato spettatore. Vi è contenuto un riferimento alla nota tragedia delle torri gemelle, qui trasfigurate e contestualizzate, che sconvolse l’America e il mondo. Esse diventano simbolo di questa lotta, in cui è il male a prevalere: “Da enormi carri di fuoco sono allestiti nella Casa dei Morti dal servitore del cane, sono guidati da fedeli già morti e all’interno dei carri da altri esseri rianimati a caso prelevati nelle cripte della Casa e da alcuni demoni inferiori a garanzia che la distruzione sia totale.” C’è anche un libro che ogni volta che viene aperto cambia di contenuto ed ha impressa la scritta AZULH®, che si trova diffusa su molti altri reperti e ruderi rinvenuti nell’area. Azulh è il “demone serpente dell’antica tradizione caldea: Belva feroce deputata all’involuzione dell’uomo mistico e dolorante.”
La sensazione continua che il lettore prova è di desolazione. L’autore pare voglia insistervi, suggerendo un’idea di morte che devasta alle radici qualsiasi evoluzione. Per evolversi è necessario distruggere; il vasto deserto della morte è il prezzo da pagare per andare avanti: e andare avanti fa paura. Molte delle macerie che circondano l’Opificio sono testimonianza di un abbandono dettato dalla paura.
Un ampio capitolo dedicato alla Rosa di Gerico, un fiore del deserto dalla storia fascinosa che ha ispirato molti autori mistici ed esoterici, mostra la valenza del nascere e morire in qualsiasi tipo di evoluzione che l’uomo si trovi a vivere. I cespugli rotolanti che si incontrano nell’area occupata dall’Opificio, sembrano possedere le proprietà di questo fiore, considerato sacro e immortale.
Baccelli disegna un mondo nella continua ricostruzione di se stesso, una ricostruzione che muove da una scienza che non disdegna anche il ritorno al passato.
Per gli appassionati di questo genere di letteratura non mancheranno motivi di curiosità e di interesse.
Bartolomeo Di Monaco
Titolo: Il libro dell’OpificioAutore: Vittorio BaccelliTesseratto Editore, Seville (E)V edizione, 2010