La 'povna, questo weekend, se ne va al mare, e gozzoviglia. Nel frattempo però la fine della scuola ha determinato un notevole incremento del suo ritmo di lettura. Riesce dunque, e questa volta pure in tempo, a partecipare di nuovo ai "Venerdì del libro" di Homemademamma, con un piccolo gioiello della sua amata Albione.
La traduzione italiana (così come del resto l'editing), va detto, fa schifo. Eppure Miss Buncle's Book resta, nel suo genere, un piccolo capolavoro. Ispirato alla migliore tradizione inglese ottocentesca (l'immagine di Cranford della Gaskell viene subito in mente), si iscrive in quella cospicua serie di libri di intrattenimento alto che l'Inghilterra degli anni Trenta del Novecento seppe sfornare. In un gioco metaletterario avvertito e assai ironico, la storia è quella della zitella Barbara Buncle che, per affrontare a testa alta (l'ombra del crisi del '29 aleggia, inespressa) il crollo dei suoi "dividendi" - indecisa tra allevare galline e scrivere un romanzo - decide che la seconda opzione è, tutto sommato, quella che dà meno da fare. Priva di immaginazione, non le resta che prendere ispirazione dal suo quieto villaggio, dal quale trae, con tratti vividi e ironici, cronache argute di personaggi e trame. Il libro (pubblicato sotto comodo pseudonimo) quando esce, suscita scalpore; e tutti o quasi i piùcheretti abitanti del violato microcosmo si scatenano in una caccia al "dagli all'untore". Dopo una serie di peripezie, il lieto fine, ovviamente, avrà la meglio, con grande soddisfazione di tutti i personaggi positivi del romanzo, e in specie del lettore. Perché, ed è questo l'elemento più significativo di tutti, la Stevenson condisce questa trama semplice con una serie di scafati artifici di metafiction davvero da esperta del mestiere. In un potenzialmente infinito gioco di scatole cinesi e specchi, il libro che parla del libro che parla di una realtà messa su carta risulta essere, con ogni evidenza, quello in mano al lettore. Che viene portato così a riflettere sul potere del mondo di invenzione, della parola, della trasposizione romanzesca, che trae alimento, ma insieme nutre, la vita reale (con un sistema di andata e ritorno che, la 'povna pensa, non è poi troppo diverso da quello che avviene in questa epoca contemporanea e postmoderna con il mondo bloggistico virtuale). Completa il tutto una lingua che (pur nella traduzione da scempio) si intuisce dickensiana nella scelta di cognomi doppiamente evocativi e parlanti (quelli del romanzo di Miss Buncle, così come quelli della vita reale). All'interno del suo sistema di riferimento, ovvio, ma Stevenson dunque promossa. A pieni voti.
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