Quando insegno l'italiano cerco sempre di far divertire gli studenti. La grammatica li uccide, e in effetti, anche usando tutti i più moderni metodi d'insegnamento, bisogna ammettere che la grammatica rimane sempre un argomento ostico. Quella italiana in particolare.
E allora comincio con i gesti. Banale, direte voi. Certo, però loro nel frattempo si divertono e io mi rendo conto che non è sempre facile spiegare a parole un linguaggio così complesso. L'italiano è ricco sia di gesti mimici(quelli che vengono compiuti per accompagnare un termine o una frase durante una conversazione: per esempio il gesto di mostrare o indicare il polso quando si chiede l’ora) sia di gesti simbolici (quelli che sostituiscono la parola o ne alterano il significato: si pensi al gesto delle corna mentre si parla della fedeltà di un uomo o di una donna).
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A quanto mi è sembrato di notare, il vocabolario dei gesti degli americani, che naturalmente è molto più limitato del nostro, comprende in maggioranza gesti mimici, e così i gesti simbolici li divertono particolarmente.I gesti volgari cerco di evitarli, ovviamente, anche se a volte mi lascio andare a mostrare quello dell'ombrello, perché insomma, d'altronde lo faceva anche Sordi.Uno dei più difficili e ricchi di sfumature è proprio il classico "che vuoi" della foto in alto, presa dalla copertina del delizioso libriccino di Bruno Munari Supplemento al dizionario italiano. Perché sì, vuol dire "che vuoi", ma non solo: è una specie di generico punto interrogativo indispettito/annoiato, che si può usare nel senso di "ma cosa stai dicendo", ma anche, per esempio, di "dove diavolo eri finito" quando qualcuno arriva tardi a un appuntamento. Eppure non è una generica domanda, e non si può usare, ad esempio, per chiedere "che ore sono"; e naturalmente non si applica a tutti i contesti, quindi meglio non usarlo, durante una cena, per chiedere "che vino vuoi?" (Tutte cose lapalissiane per un italiano, ma non per un americano.)Importanti sono anche la posizione della mano (molti tendono a farlo tenendo il braccio allungato) e l'espressione del viso, che non può essere sorridente se non vogliamo vanificare l'effetto.
Un gesto difficile da padroneggiare, insomma, ed è per questo che ho provato una certa soddisfazione quando una mia studentessa mi ha racontato di averlo usato in un ristorante italiano con servizio pessimo, accogliendo così, con perfetta padronanza filologica, il cameriere che finalmente si era degnato di servirla.