Per il mio primo film volevo girare qualcosa di non convenzionale sui vampiri, qualcosa che arrivava dalla mia testa e non dai modelli della Universal o della Hammer. Il progetto partì con l'idea di un cortometraggio realizzato da un gruppo di amici, della durata di mezz'ora, dove ciascuno proponeva le sue idee e i suoi suggerimenti. Inizialmente, Le Viol du Vampire doveva essere abbinato in alcune sale specializzate di Parigi ad un horror americano, Dead Man Walk, che di fatto durava circa un'ora e perciò non era in grado di sostenere la programmazione da solo. Successivamente ci furono dei problemi con il distributore e il nostro film rischiava di non vedere la luce; a quel punto subentrò quello che poi sarebbe stato il produttore di gran parte dei miei film successivi, Sam Selsky, il quale credette in me e mi propose di girare una seconda parte da poter così raggiungere il metraggio necessario. Il film uscì nel maggio del '68, un tempo in cui si respirava aria di libertà e di innovazione. Personalmente immaginavo che un prodotto del genere sarebbe apparso sotto una buona luce e invece fu un grosso scandalo: il pubblico reagì in maniera furiosa perchè non capiva nulla della storia. Il responso fu talmente negativo da perseguitarmi gli anni successivi, indipendentemente da quello che ho fatto in seguito. Le Viol du Vampire, rimane un film per amatori, ed è comunque un piccolo primo film, che ancora amo." - Jean Rollin
Francia, 1968 | 91 minuti
"Un melodramma diviso in due parti": così fu definito all'epoca della sua uscita l'affascinante opera d'esordio di Rollin. Bianco e nero cosparso di fumido luccichio, già dalle primissime inquadrature (una donna appoggiata ad un albero; un pipistrello sul nudo collo: vampirizzata) emerge l'inconfondibile stile di Rollin atto a diffondersi (e a diffondere la sua poetica astratta) nel tempo a venire: i simbolismi, i cimiteri, le lente carrellate sulle ambientazioni, l'attenta illuminazione. Difetta enormemente nello sviluppo narrativo, Le Viol du Vampire, certo, almeno per le regole della narrazione classica, ma d'altro canto i film del regista non hanno mai brillato per sceneggiatura, semplicemente, non le interessava. Da poeta visionario qual'era, Rollin prediligeva le atmosfere stranianti e l'aspetto puramente visivo. Il suo cinema stava tutto nella straordinaria suggestività dell'immagine, nell'impeccabile perfezione (quella si, caratterizzata da un'elevata autorialità), quasi geometrica dell'inquadratura e soprattutto, in quell'eterna ossessione per la figura del vampiro, incarnato nel corpo femminile. Vergine o demoniaca, qualunque ruolo rivestisse, la donna plasmata nelle mani del francese diveniva astrazione, trasognata poesia. Semi-avvolta da lunghe vesti che immancabilmente s'innalzavano al vento, scivolavano via, o venivano strappate mettendo in luce le nudità diafane. In Le Viol du Vampire, vampirismo ed erotismo appaiono miscelati sotto una prospettiva inusuale per l'epoca (e più esplicita, per certi aspetti) e probabilmente, fu anche quello un motivo determinante l'inaspettata reazione sessantottina e i motteggi della critica. Ma affidandosi nuovamente alle parole di Curti: "fu lo stesso Rollin, alla fine, a prendere per il naso spettatori ed esegeti, con un gesto consciamente surrealista, concludendo la sua opera prima con il protagonista che gira per le vie della Parigi contemporanea con l'amata nuda in braccio, declamando Leroux".