La sinestesia, dal greco συναίσθησίς (composto di σύν, «con, insieme», e αἴσθησίς, «sensazione»), è considerata un particolare tipo di metafora e consiste, alla lettera – come suggerisce il nome stesso –, nella «percezione simultanea» di sensazioni appartenenti a sfere sensoriali diverse. In linguistica, quindi, con tale termine ci si riferisce all’accostamento e all’associazione proprio di due parole afferenti a piani sensoriali differenti.
Cara ai cosiddetti Poeti maledetti, quindi ai decadenti, dai simbolisti agli ermetici, la sinestesia riesce a mettere in relazione e mescolare aspetti canonicamente distinti e separati, trasformandoli in qualcosa d’altro, che pure esprime, in poche battute, esperienze e sensazioni complesse in modo sorprendentemente efficace.
Può essere indicativo, in tal senso, il seguente stralcio tratto da una lettera di Arthur Rimbaud a Paul Demeny (datata 15 maggio 1871): « Le Poète se fait voyant par un long, immense et raisonné dérèglement de tous les sens » (trad.it.: «Il Poeta si fa veggente mediante un lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi»). È così, proprio attraverso tale sregolatezza, che lo stesso Rimbaud dichiarava – appena due giorni prima –, in una lettera a Georges Izambard, di voler raggiungere l’ignoto.
Con il termine sinestesia, non a caso, si intende anche quel fenomeno psichico per cui alcuni soggetti sottoposti a una certa stimolazione (visiva, auditiva ecc.) sviluppano sensazioni che dovrebbero riguardare e richiamare altri sensi: ad esempio, visioni in seguito a stimolazioni acustiche; talvolta questo genere di effetto è stato cercato e prodotto mediante sostanze tossiche.
Molte figure, abili con gli “stratagemmi” linguistici, sono state in grado di creare battute e versi di straordinaria fattura e apparente semplicità. Si pensi a Giosuè Carducci [Rime nuove, 1887, Il bove, v.14]: «il divino del pian silenzio verde» [corsivo mio]. In questo caso, a silenzio (assenza di suono: sfera auditiva) è stato associato verde (colore: sfera visiva). E che dire di qualche testo cantautorale? Francesco De Gregori utilizza magistralmente la sinestesia, ad esempio, ne La casa di Hilde («E ci mettemmo seduti ad ascoltare il tramonto», nell’album Alice non lo sa, 1973) e in Rumore di niente (1992): «L’avevi creduto davvero / che avremmo parlato d’amore? / L’avevi creduto davvero / o l’avevi soltanto sperato col cuore? / Gli occhi oggi gridano agli occhi/ e le bocche stanno a guardare / e le orecchie non vedono niente / tra Babele e il Villaggio Globale» (dall’album Canzoni d’amore, 1992). Basta quest’artificio a rendere benissimo il caos, i contrasti e le trasformazioni proprie della postmodernità, le quali d’altro canto vengono rese qui con il pathos, l’intensità e la profondità che solo un grande autore sa esprimere.
Se è facile riconoscere una sinestesia in accostamenti ormai entrati a far parte dalla parlata comune, come in voce calda (sfera auditiva vs. sfera tattile), alle volte non ci si rende conto di accostamenti che diventano sinestetici col tempo, ma che in origine non lo sono. Si pensi all’espressione voce chiara, che nel significato originario di chiaro/a (dal latino clarus/a/um) ha accezione acustica e non visiva, qual è invece quella dominante oggi; eccezion fatta per il linguaggio musicale, per il quale, dunque, suono chiaro o voce chiara appartengono tuttora alla medesima sfera, quella auditiva.
Molti artisti hanno cercato di toccare i vari sensi attraverso la stimolazione di organi apparentemente non adatti a quello scopo specifico. Vassily Kandinsky scrisse: «Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde» [Dello spirituale nell’arte, in Tutti gli scritti, a cura di P. Sers, Feltrinelli, 1989]. Egli in tal modo accosta la pittura alla musica, la vista all’udito, uno stimolo sensoriale a uno stato d’animo.
Non è tutto, talvolta alcuni mettono in evidenza la carenza e la necessità di simili elementi anche in ambiti che sembrerebbero avulsi e distanti dal mondo della retorica e della linguistica, come ha fatto Claudio Lotito in un’intervista rilasciata a Cesare Lanza di Chi, parlando con il quale egli sottolinea l’importanza dell’elemento educativo dello sport in generale e del calcio in particolare: «[…] bisognerebbe procedere a una rivoluzione poetica nel mondo del calcio. […] La cultura è musica e il calcio dovrebbe adeguarsi. Il calcio dovrebbe interpretare Manzoni. Il romanzo, per Manzoni, doveva essere utile, come scopo, cioè deve insegnare qualcosa. E vero, come soggetto. E infine interessante, come mezzo: non deve annoiare. Il calcio dovrebbe attenersi agli stessi indirizzi. […] Io stabilisco un indirizzo: il metodo è la sinestesia».
In un mondo in cui troppo spesso «è più prosa che poesia» [Rino Gaetano, in Nuntereggae più, 1978], la sinestesia appare, dunque, come uno sguardo leggero verso l’orizzonte.