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“Il lungo sonno di Giulietta” di Laura Leoni

Creato il 16 gennaio 2012 da Viadellebelledonne

 “Il lungo sonno di Giulietta” di Laura Leoni

         Appesantita di veli, l’ombra di Verona nutre il pensiero di Giulietta nell’idea del suo decesso. La notte e il giorno in un crescente squilibrio, avvicendano notti nei giorni e giorni nelle notti. Con la cuffia slacciata e le labbra ancora bagnate, adagiata su un letto di marmo, Giulietta dorme in un’apparenza di morte.

   Nella cripta dei Capuleti, un profumo di gigli si disperde tra le colonne e circonda la veste cremisi, sorretta agli orli da babbucce di raso. L’ombra veglia e condivide nelle ore quel sogno, nel lungo sonno di Giulietta aprendosi ala al suo fianco.

   Smagrita, in un colore livido, cosparso di rosa sulle guance, Giulietta si consuma d’amore, aspettando Romeo.

   “ Dove sono? Romeo sei qui? Perché non rispondi? Sono io, Giulietta! Non ricordo….non so più chi sono!”

   E’ l’alba, ma per Giulietta tutto si confonde in un respiro trattenuto nel tempo. Solo l’ombra la consola. Il suo corpo, di una bellezza esangue, vive in una stanza di pietra e stringe tra le dita funeree ghirlande nel simbolo di una sposa.

   I suoi pensieri vibrano tra le pareti:

   “ Annientata nel nulla, ripongo la mia speranza nel nulla, affinché il nulla esaudisca i miei desideri, fluttuo nell’aria e sono forse Giulietta? O forse Giulietta dal suo sonno profondo mi ha rilasciato in una buia estensione di cieli dove la morte ha raggiunto anche le stelle!”

   L’ombra di Verona le si acquatta vicino mentre per Giulietta in un’ ascesa evolutiva è difficile associare la sua vera identità, galleggia nell’aria e nel percorso da crisalide via via assume l’aspetto di una farfalla. Dalle sue ali striate, sfarinature di colore si perdono, incorporandosi in arcobaleni di luce.

    Si libra nell’aria e si sofferma negli orti, succhia liquidi zuccherini dai frutti,osserva Verona dall’alto e abbassandosi nota un giardino che assomiglia al suo. Risale e nell’incertezza ridiscende, aleggia intorno, risale verso il balcone e riconosce che è il suo. Lentamente si posa sul davanzale di pietra, liberando da quella sua lievità un pulviscolo iridescente. Con Romeo lì si sono scambiati le loro promesse d’amore. La finestra della camera è aperta e Giulietta sente un pianto interrotto da alcuni singhiozzi.

   “ E’ la mia balia! Non posso consolarla, né farmi vedere…. Sono solo una farfalla. Se solo immaginasse che sono io e sono qui!”

   Entra in quella stanza che qualche ora fa le apparteneva, vede la balia toccare le sue cose: il pettine, le ciotole con i petali essiccati di rose. Nei cassetti che la nutrice apre ci sono le federe con le iniziali ricamate. Giulietta le svolazza attorno, cercando di distoglierla dalla sua concentrazione.

   “ Che bella farfalla! A Giulietta piacciono,….piacevano tanto. Se solo la potesse vedere ancora! Se non avessi dato retta al suo cuore e a quel suo Romeo! Non me lo perdonerò mai!”

   Giulietta le si avvicina ma non potendo spiegarle quanto era accaduto, compie giri convulsi e concentrici dentro la camera, quasi a voler significare con rimpianto il distacco (seppur necessario) da Romeo. Come se la ragazza fosse presente la balia le parla tra le lacrime mentre apre il suo armadio:

   “  I tuoi vestiti, o mia Giulietta! Oh mia cara Giulietta!”

   Nella prematura scomparsa, tutto è rimasto ancora come alla vigilia delle nozze: l’abito da sposa sul manichino, insieme alla corona intrecciata di fiori e foglie per ornarle la testa. Nella sala, i festoni per il banchetto ristagnano di viole e sulla soglia la scena è reliquiario d’amore e di morte.

   Giulietta, commossa, in uno stropiccio d’ali si appoggia sui fiori della coroncina, poi va sulla spalla della nutrice. La donna con tenero atteggiamento cerca di mandarla via:

   “ Va’….va’ via da qui! Ora chiudo tutto e se resterai in questo buio, morirai Va’….vola via, bellissima farfalla prima che sia troppo tardi. Se ci fosse stata Giulietta ti sarebbe venuta dietro”

   Dietro il suo invito la farfalla fugge via, finchè scompare nel cielo, leggera come una piuma in un giorno divenuto qualunque in casa Capuleti. La farfalla raggiunse in segreto altre farfalle in una valle popolata solo da farfalle chiamata appunto con quel nome.

   Giulietta si ricordava di quel posto poiché, attratta dai loro colori, a volte nei suoi svaghi (proprio come aveva detto la nutrice) le inseguiva. Un pomeriggio d’estate le  capitò così di trovarsi vicino ad un ruscello dove in moltitudine le farfalle si riunivano. Sollevandosi a gruppi, le vide danzare in uno spolverio luminescente e con i loro corpi esili eclissarsi.

   Le sembrò tutto così talmente bello che espresse il desiderio di fare ritorno. Ora però essendo stanca, voleva solo riposare. Fece combaciare le ali addormentandosi sulla borraccina e si svegliò confusa dal gorgoglio dell’acqua in una melodia simile a quella dell’allodola. Guardò attraverso la trasparenza del ruscello se dietro di lei si trovasse quell’uccello e se per caso (assalita da un dubbio) quella sua grazia variegata fosse mutata ed esclamò:

   “ E le mie ali ora dove sono?”

   Fece alcuni movimenti per verificare le sue perplessità e si accorse di non essere più una farfalla. Nella notte l’allodola era venuta a trovarla e le aveva fatto dono del suo canto e delle sue piume:

   “ Ora sono un’allodola e come in quell’alba potrò risvegliare il ricordo del mio Romeo….se solo riuscissi a trovarlo.”

   Romeo, dopo aver ucciso Tebaldo, era stato esiliato a Mantova.

   Milano e Mantova in quel periodo erano sotto l’epidemia della peste e Romeo, costernato già per la separazione da Giulietta, arrivò alle porte della città in uno stato di abbandono e tristezza.

   Durante quel tragitto, un susseguirsi di eventi aveva turbato quel suo già forte malessere, ostacolandone la fuga. Stanco e nervoso, era sceso più volte da cavallo per bagnarsi le palpebre, quando vicino alla sua destinazione gli sembrò di avvertire nel bosco un lamento simile a quello di un cervo.

   Lungo i bordi del sentiero, una cerva aveva perso e stava grondando molto sangue. Lo aveva guardato come ad implorarlo di fare per lei qualcosa.

   “ Cosa ti è successo, piccola cerva? Vorrei poterti aiutare ma non so come, forse…potrei lenire il tuo dolore procurandomi delle erbe.” disse Romeo dispiaciuto.

   Romeo cercò così di alleviare quella sua sofferenza, ponendo delle foglie medicamentose sul suo dorso. La cerva ferita, nel lasciare Romeo lo seguì con il suo sguardo languido e parve ringraziarlo della premura, poi distese il suo corpo in quei cespugli e si addormentò. A Romeo avrebbe fatto piacere trattenersi ancora e magari sapere se da quell’erba l’animale avesse trovato il giovamento necessario ed essersi ristabilito. Purtroppo non gli fu possibile perché aveva già perso molto tempo e doveva affrettarsi. Iniziò a galoppare più forte pensando alla sua Giulietta e a quelle ore trascorse nella notte.

   Poco dopo, la cerva in un rantolo d’agonia, protese per l’ultima volta il collo verso Romeo ma non lo vide. Voleva salutarlo e ringraziarlo ancora. Poi quasi in sintonia, in un soffio di vento depose il muso di lato alla terra e spirò.

   Arrivato a pochi metri dalla città, nel momento stesso in cui la cerva morì, Romeo si girò indietro quasi a presagire in quell’attimo qualcosa di funesto. Mentre pensava, venne come accecato da una luce in mezzo alla strada. Strinse le briglie, intimando al cavallo di fermarsi, quando in un alone fosforescente gli apparve la sagoma della cerva che si dileguava nel nulla.

   “ Oh! Mio Dio, ma cosa è stato! Credo di aver avuto un’ allucinazione! Mi è parso di vedere il fantasma della cerva. Forse sono troppo stanco e ho bisogno di riposare!”

   Per tutte le fatalità capitategli, anche se disorientato, Romeo percepì più tutto questo come un avvertimento. Si sentiva smarrito e cominciava ad avere anche un po’ di paura ma si rincuorava, sapendo che il vero amore non conosce divieti. Rassicurato da questa sua intuizione, entrò a Mantova.  La peste si tingeva ormai di un macabro affresco. Cadaveri ammassati in comuni barrocci per le vie penzolavano in braccia e gambe inermi. Romeo si addentrò così in quella desolazione domandando, di un alloggio, fino ad arrivare nella piazza sotto gli archi.

   Un barelliere, che usciva da una porta, teneva in braccio una ragazza per andare a seppellirla in un luogo comune. Nella loro disperazione i genitori della fanciulla la seguivano. Romeo, che assisteva in lontananza alla scena si figurò in quella purezza l’innocenza di Giulietta, sussurrando quel nome.

   “ Ehi, bel giovane, dove vai? Perché non ti fermi? Non sono mica un’appestata! Vieni qua che ci divertiamo!”. Romeo continuò a sbirciare, passeggiando tra  morti ed ubriachi, appoggiati lungo i muri ma sembrava non sentire. Il suo pensiero era rivolto a Giulietta, tanto da crederla e inventarsela in quelle pose strane, offerte in una grazia misteriosa.

  Quella notte, consapevole delle sue malinconie, appagato dalle sue immaginazioni, si addormentò sperando in quell’incontro che solo Giulietta gli avrebbe saputo donare e Giulietta arrivò puntuale nei suoi sogni e si distese accanto a lui.

   Con l’abito da sposa fiorito di pesco lo prese per mano. Insieme attraversarono campi brumosi d’alba. Raggiunsero un trono d’erbe che solo loro conoscevano, incoronandosi sovrani di un amore eterno. Si dissetarono di humus e piogge fino a dissolversi l’uno nell’altro e come in quel mattino, ancora una volta l’allodola tornò a svegliare Romeo col suo canto.

    “ E’ il canto dell’allodola, ne sono sicuro! Cosa sarà venuta mai ad annunciarmi? Dove sarà la mia amata Giulietta? L’ho vista in sogno e l’ho sfiorata, ha bevuto ed è svanita, lasciandomi nuovamente solo con le mie angosce. Cosa avrà voluto mai dirmi la mia Giulietta che io non so?”

   Romeo cercò di decifrare il messaggio ricevuto in sogno, ma per quanto lo interpretasse non gli apparve così chiaro.

   Intanto nei suoi mutamenti il caso, travisa la vita, deformandola. Baldassarre, fidato servitore dei Montecchi, giunge a Mantova dando notizia a Romeo dell’avvenuta morte di Giulietta. Nell’apparenza tutto si compie, simulando  un evento che trascina il giovane innamorato, in un comportamento insensato mentre un veleno ostinato si instaurava nella sua mente, nelle sue viscere.

   Romeo, odorò, pregustando quel succo un po’ amaro e partì al galoppo verso Verona, in un’ intesa col cielo che nel frattempo avanzava cumuli di nembi. Dietro di lui un temporale rimbombava, illuminando il sentiero. Giulietta, rivestita di piume, nelle forme dell’allodola lo osservava in segreto. Avrebbe voluto gridare e fermarlo in quell’eco sorda prodotta dal fragore dei tuoni, ma qualsiasi tentativo per distoglierlo sarebbe stato inutile nell’idea di vederla, anche se per l’ultima volta, a Verona.

     Mentre volava così rifletteva: “Chi potrebbe ascoltarmi in un’allodola e chi mai potrebbe percepirmi nel suo linguaggio se non un passero? Desidererei volteggiare in una versione opposta a quella dei cieli e non accompagnare Romeo nella triste sorte che la vita tradendomi mi ha affidato.”

    Giulietta,consapevole del malinteso generatosi, pianse senza poter essere consolata se non da quella pioggia incessante che si unisce alle sue lacrime, acquattando il suo piumaggio.

    Si rivide in un palpito, in un’aritmia d’elitre, nel peso dispiegato di una farfalla purificarsi in un battesimo d’ali. Ripercorse sé stessa, vide il suo corpo espandersi  e congiungersi alla sfera celeste. Nella paura di perdersi, si cercava nell’io più profondo. Infine, si rigenerò in una policromia di particelle,  che si plasmarono in una nuova costellazione a cui dette il suo nome. Si uniformò allo spazio, nei colori, in un calore che la gioia emana, in una sensazione che Romeo avverte sollevando lo sguardo al cielo.

   Nel bosco, vide ad un tratto, sbucato da dietro le querce un lembo della sua veste sollevarsi ed impigliarsi in folte biforcature che si protendevano tra i rami. Sparsi tra il fogliame comparirono in un cerchio mille volti nelle mille fisionomie di Giulietta, implorandolo di fermarsi.

   Romeo, ripensò alla cerva: in quel triste presentimento cercò di comprenderne il significato ma, non sapendo se Giulietta fosse ancora viva, correva verso il suo ultimo appuntamento per accarezzarla un’ultima volta.

   Incitò il cavallo e iniziò a galoppare più forte, arrivando a Verona. Vicino al sepolcro dei Capuleti, avvertì dei rumori provenire dall’interno e disse:

   “ Giulietta non è sola, c’è qualcuno con lei, sento dei passi”

   Il conte Paride (suo promesso sposo), in profonda prostrazione le teneva compagnia. Inginocchiato accanto al suo corpo le sussurrava frasi d’amore, colmandola di tenerezze.

   La porta era socchiusa e nel momento stesso in cui l’anta si aprì, il cigolio dei battenti fece sobbalzare il conte, sbiancandolo di paura e stupore per l’inaspettata presenza di Romeo. Fermo sulla soglia, con la complicità della luna la sua ombra si allungava sulla pietra, sdoppiandosi fino a scomparire sulla folta capigliatura di Giulietta in un’atmosfera satura di intrighi.

   “ Sei dunque qui! Sgradito non solo a me ma anche alla mia Giulietta Vattene….vattene via! Fuori di qui Giulietta è la mia sposa anche se era stata promessa a te!”

   Romeo, accecato di rabbia e gelosia nel trovare lì Paride mentre avanza lentamente verso di lui sfodera il pugnale, intimandogli di andarsene:

   “ Ho detto a te conte! Sei forse sordo?”

   Paride lo guarda esterrefatto, non riesce a capire e confuso gesticola mentre impugna l’elsa della sua spada.

   Solo qualche parola, poi Romeo sferra al suo cuore un colpo dritto e deciso. Paride vacilla e cade sanguinante ai piedi di Giulietta. Tutto quel sangue!……Romeo per un attimo ricorda quello perso dalla cerva e in quell’episodio intuisce appieno il tragico concludersi del suo destino.

   Per una folle consolazione gira più volte intorno al marmo di Giulietta gridandole tutto il suo amore. Poi con gesto disperato estrae dalla sacca di pelle la fiala contenente il veleno e si appoggia di fianco a lei. Lo beve fino all’ultima goccia e la bacia aspettando la morte.

   Romeo muore a poca distanza da Paride e nel delirio si sentono frasi come:

   “ Dove sei Giulietta? Non ti vedo ancora! Ma dove sei, amore mio?”

   Intanto a palazzo Capuleti la sala delle feste è addobbata e si interrompe in una fragorosa risata al suo arrivo. Figure, brindano in una foschia smorzata solo dalla luce delle candele.

   * Tutto ritorna come all’inizio, in quella festa quando Romeo sperando di incontrare Rosalina (di cui si era invaghito), vede per la prima volta Giulietta.  Palazzo Capuleti vive ora in quello stesso spirito, in quel ballo mascherato in attesa solo della dolce Giulietta.

    Paride (da poco deceduto)è in disparte rispetto agli invitati e guarda il suo rivale Romeo che l’ha raggiunto lì. Dietro alle colonne, le entità invitate, si rincorrono e ridendo si riuniscono a gruppi. Chi sono non si sa, tra di loro si trovano anche Tebaldo e Mercuzio e da dietro le maschere appaiono, senza farsi riconoscere.

 

 

   Le sagome trapassano le une nell’altre dileguandosi attraverso muri e colonne poste in simmetria sui due lati del salone:

   “ Ma chi sono? Sono forse anime dannate in casa Capuleti? E lo sono forse anch’io? Ma non vedo ancora Giulietta!” Nella sua nuova dimensione, Romeo è impaziente e disorientato. Si accorge di vivere in un pensiero ma si accorge anche che i loro volti sono coperti proprio come in quella festa dove l’aveva conosciuta. Prova ad inseguirle ma come si avvicina si dissolvono insieme ai loro costumi, lasciandolo in una stupefazione profonda, pieno di dubbi.

   Nel frattempo nella cappella di famiglia,Giulietta è rimasta sola. Con lei non c’è nessuno, tranne i corpi accasciati del conte Paride e di Romeo che le tiene stretta la mano in un ultimo e disperato atto d’amore. Nelle sue metamorfosi, era stata abbandonata anche dalla farfalla e poco dopo anche dall’allodola. Ma ora,dopo un sonno durato quaranta ore, un brivido ripercorre le sue membra intorpidite, in un  risveglio alla vita.

   Come nell’ incantesimo di una brutta fiaba, Giulietta si  ridesta, in una stanza gelida dove nell’apparenza, in un sortilegio, il suo principe si è tolto la vita, credendola morta.

   Poco dopo il decesso, Paride ha raggiunto gli invitati e si trova al ricevimento mascherato. E’ in disparte, vicino ad una colonna, non vuol farsi riconoscere da Romeo che ha visto entrare mentre brindava con gli altri. Si tortura chiedendosi il motivo nell’incontrarlo alla festa. E’ consapevole della sua slealtà, di averlo colto di sorpresa in duello. Ora togliendosi la maschera, lo sta osservando nei suoi movimenti senza capire e sopratutto trovare risposta nel vederlo in quel luogo. Vorrebbe parlargli ma un risentimento si annida ancora nel suo cuore, poi accidentalmente la maschera nello spostarsi gli cade.

   “ Chi sei? Sei tu, ti riconosco. Cosa fai qui?” gli dice Romeo

   “ E’ la stessa domanda che rivolgo a te!” gli risponde il conte infastidito.

   “ Perché ci troviamo qui? Tu almeno sai dov’è Giulietta? Non è forse morta e quindi dove si nasconde ancora” ribadisce Romeo.

   “ Per carità non lo so, vorrei saperlo anch’io. L’abbiamo trovata entrambi morta e tu mi hai ucciso in un atto di gelosia ma non so il perché io mi trovi ora qui insieme a te. Proprio come all’inizio siamo tutti e due a Palazzo Capuleti e Giulietta doveva essere presentata come mia futura sposa. Ma non domandarmi altro, poiché in questa pena mi sento triste”.

   Nella semioscurità Paride mentre parla a Romeo, si commuove circondato da una pacata euforia che dal sottofondo sale esplodendo poi in delle risate. Sono sempre loro che ridono e continuano a ridere. Sono niente, travestiti nei loro costumi di niente, sono tutti invitati sembra, ad una festa ma nessuno sa il loro nome. Si riuniscono a piccoli gruppi, si divertono, spariscono e riappaiono, guardano, anzi spiano mentre loro due continuano a parlare sottovoce, confidandosi dietro ad una colonna.

   Intanto, nella cripta Giulietta apre gli occhi e nota che il soffitto sopra di lei si snoda in un incrocio di archi. Questa volta a risvegliarla non è stato il canto dell’allodola, l’allodola è volata via. Ora un canto di morte e solo di morte nella nera figura di Verona la potrà sollevare, resuscitandola dal suo dolore. Ignara di tutto quanto le sta attorno, Giulietta  distoglie lo sguardo dalla cripta sorridendo e pensa al suo innamorato che la condurrà via per sempre.

   Una sensazione strana però si impadronisce ad un tratto di lei, in un gelo che la chiude in un respiro dimezzato, qualcosa che trattiene la sua mano, mentre si rende subito conto che quel freddo non fa più parte del suo corpo. Ma cos’è?  Si volta e come si volta un urlo, con quel poco fiato che ha, le si strappa dal petto nel vedere il cadavere del suo Romeo che le sfiora le dita.

   “ Mio Dio! No, no…non è possibile! Romeo! Oh mio Romeo perché mi hai fatto questo? Frate Lorenzo non ti ha avvertito? Cosa mai è potuto succedere che non hai potuto sapere del suo piano?” E aggiunge “Non hai visto comparire in un cerchio i miei mille volti e non hai capito che volevo trattenerti per non andare così presto a Verona? Adesso cosa mi resta da fare? Oh! Anche Paride è morto, disteso qui vicino a te e a me. Deve averlo ucciso sicuramente Romeo e poi si è ucciso anche lui per me!”

   Nella mesta constatazione dei fatti, Giulietta scende da quella che ormai era considerata la sua tomba. Accarezza e abbraccia Romeo in un pianto disperato, da cui nessuno potrebbe mai confortarla. Non sapendo più cosa fare, in un gesto istintivo, cerca di succhiare dalle sue labbra quel potente veleno che lui ha ingerito, ma la sua bocca è secca,asciutta.

   “Ingordo! Neanche una goccia! Speravo che almeno baciandoti ne fosse rimasta traccia, invece troverò un altro modo di raggiungerti e unirmi a te per sempre.”

   Giulietta si trascina vicino al corpo del conte e in una delle più infelici e sconvolgenti idee recupera con forza lo stiletto conficcato nel cuore del suo promesso sposo. Ancora con i residui del suo sangue, affonda con violenza la lama appuntita nella sua carne e si adagia tra le braccia di Romeo, esalando l’ ultimo respiro.

    Muta, l’ombra di Verona, piano piano si affievolisce, restituendo sua figlia alle ombre, in una luce che dirada ma non si spenge, in una stanza dove per la rivalità di due famiglie si è consumata la tragedia dei Capuleti e dei Montecchi.

    Il salone delle feste a Palazzo Capuleti si anima e si illumina ancora. Le entità  sconosciute e camuffate applaudono all’arrivo di Giulietta. Sembra quasi che abbia finito di recitare la sua parte indossando un costume che sarà una sorpresa per Romeo.

    Nella freschezza dei suoi quattordici anni a Giulietta piace scherzare, improvvisare e sorprendere soprattutto Romeo, che non sa riconoscerla nei panni di Rosalina. Si aprono le danze, Tebaldo da dietro la maschera, osserva sua cugina e la invita al ballo.

    Solo a Romeo è dato non sapere e la scoperta per un attimo di veder sfilare nel Madrigale Rosalina al posto di Giulietta, lo abbatte in una spiegazione senza più certezze.

   “ Rosalina! Come mai lei si trova qui? Non fa più parte dei vivi? E Giulietta, la mia Giulietta dove si trova ora?”.

   Anche Paride si unisce a loro e lo invita a partecipare ma Romeo, trovandosi in una profonda costernazione, non lo ascolta, non lo vede neppure, abbandonandosi sempre più all’ angoscia.

   Eppure, in quell’aria si è come diffuso un suo profumo, quel sapore che Romeo mantiene nella memoria del suo ultimo bacio. Nel frattempo, Mercuzio gli si avvicina togliendosi la maschera per farsi vedere:

   “ Mercuzio, amico caro, come sono felice di incontrarti! Ho visto anche Rosalina di cui mi ero invaghito ma non riesco ancora a vedere la mia dolce innamorata. Perché siamo tornati qui a questa festa proprio come all’inizio dove, illudendomi di incontrare Rosalina, sbocciò il mio amore per Giulietta e perché, mi chiedo ancora, il destino continua a burlarsi di me in questo modo?”

   Mercuzio lo supplica senza dargli nessuna risposta. Romeo ripone fiducia nel suo sguardo che si alza dalla posizione in cui si era accovacciato e lo segue. Quella sensazione che aveva avvertito poco fa ritorna in dei movimenti, in dei passi che attribuisce alla grazia nel veder volteggiare Rosalina, simile a quella di Giulietta che improvvisamente allunga il braccio nell’atto di sfiorarle la mano.

   Un niente! Tutto! Un fremito intenso pervade entrambi e i due capiscono di essere innamorati più di prima. Nell’intenzione di Giulietta, Tebaldo cede il posto a Romeo nella danza.

   Giulietta trattiene le lacrime, questa volta di gioia, mentre il giovane cerca di stringerla a sé. Romeo, però nel gesto dimentica l’incorporeità acquisita e si fonde con lei in un alito, in un calore, in una fosforescenza trasparendo in una medesima luce.

  In quell’unico pensiero, il trono disfatto d’erbe appare a loro in tutta la sua meraviglia. Nell’intesa si dirigono e come in sogno mentre si siedono la visione si annebbia, incoronandoli sovrani di quell’amore per cui nella loro breve vita avevano vissuto.

da “Dedalus” puntoacapo editrice 2011

“Il lungo sonno di Giulietta” di Laura Leoni

Laura Leoni, scrittrice e pittrice, vive ed opera a Firenze. Nel 1997 ha pubblicato la silloge poetica”Spoglia d’ali” (Gazebo edizioni) e nel 2008 “Anatomia di una goccia-Testi per balletti” (Ed. La Meridiana). Espone in molte mostre personale e ha eseguito per la chiesa di bagno a Vignoni l’opera in acquerello di Santa Caterina da Siena.



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