Diverse epoche, diversi gradi di consapevolezza.
Oggi abbiamo auto «di lusso», abiti «di lusso», cellulari «di lusso». Abbiamo anche bassi elettrici «di lusso» – quelli che non potrò mai permettermi, ma dei quali (se devo dirla tutta) non sento neppure la necessità.
Faccio fatica ad immaginare un mondo dove il pane può avere una sua variante «di lusso». E’ un mondo lontano, dove il cibo è un privilegio.
Dove il necessario non è scontato.
Un mondo diviso in due: i ricchi hanno il pane di lusso, i poveri non l’hanno proprio. Nemmeno quello di scarto.
Mi viene in mente quella delicatissima favola di fine Ottocento, La piccola principessa, quella che aveva come protagonista una bimba – Sara – diventata povera in un soffio. S’era addormentata principessa per risvegliarsi serva.
Ho in testa i bei disegni di quel libro, l’innocenza delle parole; ricordi confusi, dove una panettiera vestita con la sua candida divisa si commuoveva alla vista di una piccola affamata, tanto da nutrirla di tasca sua. Regalandole non il pane di scarto, ma il pane migliore: quello bianco.
Immagino fosse quello il «pane di lusso».
Mi fa una certa impressione pensare che qui, di fronte alla vetrina della foto – una vetrina vera, non una favola – tanti anni fa c’erano dei bimbi poveri, in abiti laceri, che si cavavano gli occhi di fronte ad un biscotto.
Mi stupisco, ma non so nemmeno io perché.
Già: quante volte ho sentito mia mamma raccontare i sogni ad occhi aperti di questi bimbi, figli di contadini, davanti alla vetrina del panettiere?
Erano bimbi ricchi, loro, perché in fondo il pane ce l’avevano.
Ma sognavano il pane di lusso.
Sognavano i biscotti, lo zucchero.
Sognavano la vaniglia, la buccia del limone, la cannella.
E sapevano, erano perfettamente consapevoli di essere fortunati.
Perché c’erano altri bimbi che il pane non l’avevano.
Nemmeno quello di scarto.