Ci sono aziende che alla faccia del made in Italy vanno a produrre all’estero. Alcune perché cercano più lauti profitti, altre perché in Patria sono strozzate dai balzelli e dalla burocrazia.
Insomma il made in Italy rischia ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, di prendere il volo.
Ma se anche le prime prendessero onestamente ad accontentarsi e le seconde fossero sorrette da un regime fiscale più clemente, il made in Italy sarebbe comunque seriamente compromesso. Sarebbe o è? Forse lo è già, infatti. E se uso il condizionale è solo per una sottile, piccola speranza. Quasi a negare la tremenda realtà.
Dove c’è da mettere le mani –e nel made in Italy c’è da mettere le mani- lavorano gli extracomunitari. Quelli lì, si, quelli che qualcuno ha in astio e vorrebbe cacciare. Quelli che arrivano da lontano, si rimboccano le maniche e imparano a fare il nostro gorgonzola, il nostro grana padano, il nostro vino d.o.c. e via via lungo quella quantità di prodotti eccezionali che la nostra storia ci ha lasciato in eredità.
Ora mi chiedo…non è che qualcuno ha la brillante quanto idiota convinzione che basti tenere la testa della ricetta?
Intanto chi sa fare ha le gambe lunghe e il cervello fino quindi non è che ci sta, a farsi prendere per il naso in eterno. Poi, diciamolo, quale testa resterà di questo passo? La memoria geniale muore e il resto non cresce. Perché, sia chiaro, la mente governa fin tanto che il corpo sta al passo. E la mente ha bisogno di toccare, altro che talento, scuole alte, scrivanie comode.
Per ‘riprendere’ il made in Italy occorre ritrovare la dignità. Che se vogliamo, sempre e comunque fa rima con umiltà e coscienza.
Irene Spagnuolo
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23 febbraio 2015 - Autore: Irene Spagnuolo