Il maestro di Vigevano ritrova Alberto Sordi nel ruolo del protagonista: Mombelli, un maestro elementare moralista, troppo rigido verso i suoi alunni – seppure in buona fede – e troppo ossequioso verso i suoi superiori, che teme e riverisce per codardia ma disprezza in cuor suo; disdegna anche se stesso per non sapersi ribellare a loro. L’ambiente familiare, i rapporti con i colleghi, la deferenza esagerata verso il preside, le scarse risorse economiche: tutti questi elementi si accumulano sulle spalle del personaggio, la cui vita dipende sia dall’interpretazione tragicomica di Sordi che dalle trovate della storia, adattata per il cinema dal romanzo di Lucio Mastronardi. L’inizio e la fine, ad esempio, sono speculari e tratteggiano – forse con più colore che realismo – la routine scolastica, la spartizione degli alunni tra gli insegnanti come fossero pura merce di scambio, al fine di avere meno seccature possibili. Gli stessi insegnanti sembrano mancare di una vera vocazione, tranne i due che subiscono la sorte peggiore: Mombelli e Nanini, quest’ultimo in perenne attesa di un posto fisso ed entrambi mortificati nel lavoro e nella vita privata. L’andamento circolare della storia sancisce che nulla è cambiato: la tragica esperienza che ha vissuto il maestro non è riuscita né a distruggerlo né a fortificarlo, ma solo a renderlo davvero crudele per un istante solo. Non ha nemmeno avuto la soddisfazione di uccidere la moglie, come avrebbe voluto in quell’unico impeto di rabbia esplicita, e si ritrova a essere ancora tenuto sotto scacco e sotto ricatto dal suo direttore. Mombelli non è cambiato: è solo legalmente vedovo, essendolo in realtà già da molto tempo, e non solo per colpa della moglie.
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