Non ci sono più i calzolai di una volta, quelli neri neri infrattati in antri neri neri zeppi di scarpe accatastate come rifiuti. Quelli con un grembiulaccio nero nero che pareva incatramato, uno sgabellino zoppo per sedersi, un deschetto fra le ginocchia, una scarpa (apparentemente sempre la stessa e comunque mai la tua) infilata sul supporto, gli arnesi sparsi intorno e soprattutto cera untuosa ovunque, vischiosa, densa, nera nera anche lei, miracolosa, col suo odore penetrante che graziaddio neutralizzava la puzza inevitabile. Antri neri neri senza finestra, solo la porticina sgangherata per entrare, tenuta aperta d’estate ma ben chiusa d’inverno perché dentro c’era al massimo una stufetta. E sempre una radiolina a transistor che andava in sordina, musichette tipo liscio da balera, magari intervallate da dediche ingenue per compleanni o nozze d’oro. Tu portavi le tue scarpe a risuolare e quando ti affacciavi a quel buchetto nero nero e odoroso, dove non ci si poteva neanche muovere e lui, il calzolaio, neanche si alzava per prendere le cose perché gli bastava allungare un braccio e arrivava dappertutto; quando ti ci affacciavi era come tornare indietro di cent’anni, ai tempi in cui immaginavi i tuoi nonni giovani, in cui ci si scaldava con la stufa e ci si faceva luce con le lampade a petrolio, e tutti erano più poveri e semplici e portavano lo stesso paio di scarpe per anni e anni finché proprio non si potevano più riparare. E ti pare di entrare in un altro mondo senza la televisione, senza internet, senza il traffico e la musica da discoteca, perché lì dentro si suona solo il liscio di Casadei e del mondo si vede ciò che raccontano le scarpe e poco altro (raccontano molto, in verità, basta rifletterci un attimo; ma non ora).
E poi c’era la solita pantomima: “Per quando me le fa?”
Lui non ti dava mai una risposta precisa. Prendeva le scarpe, le girava, le studiava arrivando anche a slabbrare di proposito la bocca della scollatura, a squartare ciò che restava del tacco da rifare, a slargare con un ditaccio nero nero il buco sulla suola per valutare l’entità del danno; poi con indifferenza le lanciava sul mucchio di scarpe in attesa e tornava a occuparsi della scarpa sul desco, incurante della tua domanda e anche di prendere nota del tuo nome, cosicché ogni volta te ne andavi senza un risposta e col fondato timore che le tue scarpe potessero essere consegnate a qualcun altro.
Poi cominciava il tira e molla. Tornavi almeno una volta la settimana a sentire se erano pronte, e non lo erano mai. “Provi a tornare la settimana prossima – ti bofonchiava ostile, senza neanche guardarti perché stava ancora accudendo alla stessa scarpa della prima volta. Così per mesi. E non ascoltava solleciti né minacce. Solo il giorno che raccoglievi tutta la tua esasperazione e andavi apposta per farti restituire le scarpe e portarle da qualcun altro, ecco allora potevi star sicuro che quello era il giorno giusto, le tue scarpe erano pronte, rinate, con rattoppi invisibili, la suola rinforzata, i tacchi sanissimi, i buchi calafatati e l’aspetto lucido e impeccabile come le calzature del principe di Galles, il tutto per quattro lire e un’incazzatura che tutto sommato ti passava subito, perché il Mago aveva fatto il suo incantesimo.
Oggi pomeriggio ho dovuto prendere la macchina e raggiungere un centro commerciale per trovare un calzolaio. Uno di quelli moderni. Ha una postazione asettica, ampia e luminosissima di fronte alla libreria; sul bancone ci sono in mostra modelli di chiavi (fa anche quelle), cinture, targhette di metallo con incisioni personalizzate, prodotti per la cura delle scarpe, un bel computer e ovviamente il bancomat. Tutto pulito e in ordine, a cominciare dal calzolaio che ha l’aspetto di un tecnico specializzato, col suo camice immacolato, gli occhiali da ingegnere e le mani curatissime. Per 8 euro, e in soli venti minuti (durante i quali ho visitato la libreria e sono riuscita senza il minimo sforzo a non comprare nessun best-seller) mi ha rifatto la suola alle ballerine color antracite, quelle che mi piacciono tanto perché sono morbide e silenziose come pantofole, e poi il grigio sta con tutto.
Mentre me ne tornavo a casa sentendomi miracolata, non ho potuto fare a meno di pensare, per un attimo, che tutta questa efficienza, in fondo, ha ucciso la suspense.