Quante di noi si lamentano della discriminazione della donna, in società o sul lavoro, per poi accettare in famiglia inique divisione di compiti, educare i figli alla distinzione tra mansioni femminili e mansioni maschili, giustificare compagni ben poco collaborativi e accollare su di sé tutta la gestione della famiglia e della casa, spesso parallela ad un lavoro, da svolgere comunque fuori dalle pareti domestiche?
Ammettiamolo: secoli di storia hanno formato la mentalità vigente e di fatto spetta a noi donne il principale compito di modificarla, nel piccolo, nelle famiglie, con l’educazione dei bambini (e dei mariti!), rifiutando di essere ancora “gli angeli del focolare” e facendo nostra la convinzione che se tutti si usufruisce di un bene sta a tutti il compito di curarlo.
Insomma dovremmo comportarci un po’ come la signora Maialozzi, simpatica protagonista de “Il maialibro”, quando decide di dire basta alla casalinga tirannia dei suoi due figli – maschi! – e del marito.
Una famiglia dove accadono cose strane, del tutto avulse a molti lettori (e lettrici)? Niente affatto, ahimè!
Ci sono due ragazzini dallo sguardo piuttosto spavaldo e un uomo un po’ troppo tronfio del suo bel vestito elegante.
Una graziosa villetta, in stile molto anglosassone, un ampio giardino, un’invitante tavola imbandita…E dietro questo bel palco patinato della vita domestica troviamo la signora Maialozzi – la mamma, la moglie – che per garantire i radiosi sorrisi dei figli e l’indolenza impegnata del marito, si trova indaffarata a cucinare, spolverare, rassettare, riordinare e poi, già stanca, recarsi al suo lavoro.
E della signora – evviva! – neppure l’ombra.
Ed ecco che per magia, o forse per profezia, li vediamo prendere davvero le sembianze di tre grassi maiali.
Con deliziosi piccoli anticipi – la spilla sulla giacca del papà, gli oggetti sulle mensole, perfino la serratura della porta – si compie la metamorfosi, profondamente simbolica ed ironica.
Diciamocelo: l’ottusità dei maiali i tre l’avevano già da un pezzo, ma ora si aggiungerà anche la sporcizia e il degrado. Perché, non essendo abituati a far nulla, non saranno capaci di preparare da mangiare, pulire, riordinare, lavare e in men che non si dica si troveranno a vivere in un vero porcile.
Dopo le dovute scuse e prese di coscienza ciascuno riprenderà le proprie umane sembianze
E stirando, rassettando e cucinando, tutti insieme in maniera equa, un sorriso comune allieterà ogni viso e perfino le facce dei tre maschi, prima decisamente boriose, ci appariranno più simpatiche.
Sono certa che in molte famiglie – grazie anche al lavoro e all’impegno delle mamme, appunto, del 1986, ora nonne – i fatti sono decisamente mutati e l’educazione all’uguaglianza e la parità dei ruoli è praticata davvero.
Sono però altresì convinta che purtroppo questo non sia un libro fuori tempo e che ci sia, anzi, un maschilismo di ritorno (o forse mai debellato) che vale la pena combattere in tutti i modi possibili.
Partendo dalla formazione dei bambini e dai libri che loro proponiamo.
Apprezzo anche che questo stimolo ci giunga oggi da un’opera di Anthony Browne, che a mio parere nel suo precedente “Il mio papà / La mia mamma” aveva ceduto un po’ alla stereotipizzazione di genere.
E mi piace che qui il suo acume, la sua ironia, la sua forza narrativa iconografica, la capacità di tradurre concetti in simboli immaginifici, con una deliziosa punta di surrealismo, sia al servizio di una causa fondamentale, oggi come ieri.
Le sue illustrazioni sono dettagliate ma mai scontate: sempre in agguato è la sorpresa, il particolare da notare, la fantasia che prende forma dalla realtà.
Il taglio è classico, l’impostazione dell’albo lineare, le figure sovente grandi e ricche, con una energica impronta britannica.
Scene borghesi che si prendono un po’ gioco della borghesia e che nella lieta e giusta conclusione strappano un sorriso e parecchia soddisfazione.
(età consigliata: dai 4 anni)
Se il libro ti piace, compralo qui: Il maialibro