Il male impronunciabile

Da Silvanascricci @silvanascricci

Quando in Italia muore una persona conosciuta, se cade stroncata da un attacco cardiaco, da un’emorragia cerebrale, sotto un autobus o colpita da un vaso da fiori in testa mentre passeggiava, i necrologi e i coccodrilli lo riportano con la precisa, stucchevole monotonia del giornalismo pigro e automatico: “colto da malore, veniva invano trasportato eccetera eccetera”.

Se si tratta di altre patologie, ecco scattare i lugubri, grotteschi eufemismi ipocriti, la “lunga malattia”, il “da tempo malato”, il “gravemente malato” quando non si ripiomba addirittura – ma sempre meno, fortunatamente – nel “male incurabile”, un falso, perchè un male può essere purtroppo “inguaribile”, come per esempio la micidiale vecchiaia alla quale nessuno di noi sopravvive (”senectus ipsa….”) ma sempre più “mali incurabili” sono invece “curabili”, quando non guaribili.

Soltanto l’ignoranza della pubblicistica stracciona, nella quale i TG eccellono, può ancora confondere “curabile” con “guaribile”.

Ma perchè in Italia i tumori devono ancora essere considerati una vergogna impronunciabile, come se esserne colpiti fossero un peccato, una colpa, un’indecenza, un vizio orrendo, quando ormai la grande maggioranza dei medici dicono la verità ai pazienti, che hanno il diritto di discutere con loro terapie, protocolli, previsioni e, almeno nelle società civili e non oppresse da superstizioni medioevali, la loro fine?

Siamo chiamati, continuamente e con grande clamore, a concorrere al finanziamento della ricerca su linfomi, leucemie, tumori di ogni genere, per supplire alla crescente deficienza e indifferenza delle risorse pubbliche gettate via in pozzi neri di clientelismo di destra e di sinistra, clericale o laico, ma se qualcuno ne viene attaccato, ecco che cade il sudario di una incomprensibile pruderie.

Stroncato da infarto ve benissimo.

Stroncato da cancro allo stomaco, no, vergogna.

Eppure, disse in un’intervista di anni or sono in California il Nobel italiano Dulbecco: “Se campiamo abbastanza a lungo, tutti siamo destinati a morire di quello”.

E se ne moriamo dopo gli 80 anni possiamo considerarci molto fortunati, non peccatori colpiti da chissà quale turpe castigo biblico.

(Vittorio Zucconi)

Fateci caso quanto sia vero, eppure quando mi sono ammalata ho pronunciato esattamente la parola che identificava la mia malattia, mi è sempre parso che chiamare le cose con il loro nome aiuti ad affrontarle.

L’ipocrisia ed il senso di colpa, non si sa bene quale colpa poi, sono un danno da aggiungere alla malattia, almeno quelli non accettiamoli.



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