Il "malinteso" del titolo è forse suscettibile di diverse interpretazioni: è vero, tuttavia, che l'amore "romantico", l'abbandono assoluto e ansioso di infinito è il primo equivoco che gli amanti devono risolvere per sè. Yves viene descritto come un uomo solo, desideroso, assetato della sua solitudine (come l'Isabel Archer di Henry James è fond of her liberty). Ma neanche Denise, moglie e madre, riesce a trovare il modo di condividere questo suo trasporto per l'uomo. Sarà anzi nel suo essere figlia che la donna troverà una valvola di sfogo: ad aiutarla sarà la sua mamma, figura eterea e morale, fantasma, ricordo di una coscienza atavica e disillusa, risposta e non domanda sulla vita e sull'amore. Compare nella vita di Denise senza un preciso legame affettivo tra le due, senza essere stata chiamata, è una spalla affascinante, malinconica e come sospesa tra un mondo che non esiste e un mondo che non si arriverà mai a conoscere. Denise non farà mai tesoro del'esperienza della madre, le parole emergeranno in lei quando le cose accadranno, quando volontà e passione arriveranno a quel nodo che la giovane infine comprenderà.Romanzo tout-court femminile, adorno di uno squisito senso dei contrasti, scritto quando Irène Némirovsky - una tra le autrici più celebrate negli ultimi anni in Italia - non aveva ancora ventitré anni, non nascondo che ho fatto un po' di fatica a seguire Il malinteso, ad appassionarmi, a farlo mio. Ho indugiato su quest'avventura con lo stesso distacco silenzioso che l'autrice - sempre pronta a solcare il terreno maschile da quello femminile - attribuisce a Yves e solo da questa estraneità, paradossalmente, sono riuscito a raggiungere il necessario grado di empatia. Scritto bene, ha però (per i miei gusti) il sapore di uno studio preparatorio per qualcosa di più grande che senz'altro seguirà (e che può essere riassunto, credo, nel dittico Suite francese). Non faccio fatica a comprendere l'interesse di Adelphi per queste opere, ma davvero quest'alchimia con me non ha funzionato.
