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Il Manifesto e la distruzione (non) creativa

Creato il 13 ottobre 2012 da Zeroconsensus

Il Manifesto e la distruzione (non) creativa

“Mannaggia alla bomba atomica! Senza questo piccolo particolare, la recessione mondiale sarebbe già alle nostre spalle. Infatti le altre crisi gravi sono state sanate solo quando è scoppiata una bella guerra: l’esempio più indiscutibile è la Grande Depressione degli anni ’30 superata solo grazie alla Seconda guerra mondiale. La ragione è semplice: di solito della guerra percepiamo solo la messe umana che miete, ma dal punto di vista economico i milioni di morti sono marginali; quel che conta è che la guerra distrugge un’immane quantità di edifici, prodotti, macchinari, in definitiva di capitale; e quindi crea la necessità di una nuova accumulazione, grazie alla ricostruzione materiale. Tanto che, dopo la guerra, a vivere i miracoli economici più rigogliosi di solito sono proprio i paesi più rasi al suolo, perché i nuovi impianti sono più moderni mentre gli stati più risparmiati si tengono anche le fabbriche più desuete e vengono scavalcati. Joseph Schumpeter aveva in mente proprio la guerra quando parlava della «distruzione creatrice» come caratteristica essenziale del capitalismo.”

Marco D’Eramo, il Manifesto 11  Ottobre 2012

La virulenza della crisi economica che ci attanaglia, a mio parere, sta portando molti commentatori a considerare l’ipotesi che le due teorie economiche dominanti (quella neoclassica e quella keynesiana) non solo non sono in grado di bloccare il crollo dell’economia ma sono inidonee a spiegare anche l’origine, la genesi e lo sviluppo dell’attuale fase.
Da questo si nota il tentativo di riscoprire alcuni autori ormai (quasi) dimenticati. In particolare Marx e Schumpeter. Spesso però ahimé questo tentativo non si basa su uno studio approfondito degli autori in questione, ma sulla base di vecchi luoghi comuni. A titolo di esempio ho citato un articolo di Marco D’Eramo sul Manifesto dell’11 di Ottobre, dove si cade in un clamoroso infortunio: l’autore descrive la “distruzione creativa” di Schumpeter come la teorizzazione della guerra quale strumento di soluzione del ciclo negativo nel sistema capitalistico. Nulla di più sbagliato.

Secondo Schumpeter infatti la distruzione creativa consiste in quella particolare fase economica dove le aziende non più in grado di innovare e quindi di essere competitive sul mercato chiudono battenti perchè in definitiva non più in grado di produrre utili per i proprietari e vengono sostituite da altre aziende che, grazie all’innovazione, sono in grado di competere sul mercato e quindi di creare utili per i proprietari. Questa è – appunto – la fase della distruzione delle aziende “decotte” e la nascita delle aziende “innovative”. E’ evidente come Schumpeter immaginava un sistema capitalistico dinamico e legato alla continua innovazione come l’unico capitalismo in grado di funzionare. Esattamente l’opposto – ahinoi – di quello esistente, dove in realtà una classe dirigente chiusa, classista e preoccupata di perdere il proprio status, evita in tutti i modi la nascita e lo sviluppo di nuove aziende appartenenti a soggetti esterni al proprio gruppo.

Si può dire dunque che Schumpeter vedesse nell’innovazione continua la chiave per una continua “rinascita” del ciclo economico ed è altrettanto evidente che questo fenomeno di distruzione/creazione può essere frutto solo di una società dinamica e aperta. In definitiva, si può dire che in assenza di questa specifica situazione sociale, per Schumpeter, si creino alcuni dei presupposti per le fasi di crisi economica.

La soluzione bellica (warfare) alla crisi economica invece andrebbe vista esattamente come l’antitesi alla visione schumpeteriana. Essa è posta in essere da classi dirigenti intellettualmente sclerotizzate e disposte a qualunque cosa pur di evitare il redde rationem. Anche Lenin che econnomista non era, a mio modesto avviso, aveva intuito la questione, ovvero che è il capitalismo degli oligopoli, il capitalismo colluso con lo stato borghese (che è anzi, intrecciato inestricabilmente con esso) a spingere verso la soluzione bellica per due ordini di motivi:

1) Motivaziioni interne: fare profitti grazie al riarmo e soffocare il malcontento popolare per la crisi con l’autoritarismo del tempo di guerra;

2) Motivazione esterne: distruggere il capitale dei paesi nemici (che sempre coincidono con i paesi che ospitano le aziende capitalistiche concorrenti) e conquistarne i mercati di sbocco.

A Schumpeter dunque, al massimo, si può contestare che il capitalismo da lui teorizzato difficilmente può vedere la luce proprio a causa della legge umana/sociale per la quale una classe imprenditoriale/dirigente ben difficilmente è disposta a cedere il passo ad altri, anche quando ha esaurito la propria spinta propulsiva. Ma di certo non gli si può attribuire l’uso della guerra per uscire dalla crisi. Lo strumento sanguinario invece, per certi versi può essere addebitato ai seguaci di Keynes (molti autori di ispirazione marxista infatti parlano di keynesismo militare): voi conoscete un più imponente stimolo alla domanda aggregata di una politica di riarmo? Voi conoscete una politica di contenimento della disoccupazione più efficace della “mobilitazione generale” per una guerra?

Il bello è che ad aver capito tutto fu proprio il geniale economista austriaco (*) che così commentò la pubblicazione della “Teoria Generale” di Keynes: “Meno si parla dell’ultimo libro, meglio è. Chi accetta il messaggio lı esposto potrebbe riscrivere la storia dell’ancien regime francese grosso modo nei termini seguenti. Luigi XV fu un monarca molto illuminato. Percependo la necessita di stimolare la spesa, egli si procurò i servizi di spenditori esperti quali M.me de Pompadour e M.me du Barry. Esse si misero all’opera con un’efficienza insuperabile. La conseguenza avrebbe dovuto essere la piena occupazione, indi il massimo di produzione e in ultimo un generale benessere. In verita si trova invece miseria, infamia e, alla fine di tutto, un fiume di sangue. Ma cio fu una coincidenza del caso” (**) Chissà cos’era il fiume di sangue di cui parlava il vecchio Joseph…

(*) Austriaco di nascita e non per aver aderito alle teorie dei suoi conterranei Hayek e Von Mises, mi raccomando!

(**) Josef Alois Schumpeter, “Antologia di scritti” . Bologna (1984).


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