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Il manto rosa

Creato il 08 settembre 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

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Ricordate il nostro gioco letterario “Scriviamo una storia?”. Abbiamo fatto incontrare i lettori di Leggere a Colori, tra i partecipanti abbiamo formato tre coppie uomo e donna e gli abbiamo assegnato da scrivere un racconto d´amore.  Ecco il primo racconto che nasce da questo esperimento sociale, e che esce dalla penna di Elisabetta e Giuseppe. Li ringraziamo per la loro disponibilità e il loro impegno. Ora tocca a noi gustarci il loro lavoro, che ne dite?

Mentre la mano tamponava con cura quella parte che più di altre aveva ceduto alla pressione del tempo, Giorgio cominciò a rievocare quei pensieri che a lungo si erano assopiti senza dare segno della propria esistenza. Tutto quello che riaffiorava dal suo lavoro scrupoloso e paziente, non faceva altro che incoraggiare i ricordi a rompere il proprio stato di silenzio. Essi si affollarono, sempre più numerosi, in una generale confusione: i momenti felici si alternavano a quelli più brutti, i sorrisi diventavano improvvisamente pianti, il senso di gioia era misto ad ansie ingiustificate, quando finalmente il volto e la figura di Lei vennero alla luce oscurando tutto il resto. A questa immagine che si manifestava così chiaramente nella sua testa, Giorgio rispose con una resistenza che non trovò accoglimento. Ormai, infatti, il vortice dei ricordi aveva iniziato a girare in un modo tanto serrato che sarebbe stato impossibile fermarlo. Così la mente di Giorgio si conformò a quanto, in modo assolutamente incontrollato, gli stava accadendo. La vedeva ancora, sembrava innocente e pura, cristallizzata in una figura divina, come la Venere lo era nel dipinto. Ad un tratto, pur essendo ancora bloccato in quel turbinio di pensieri, la sua mano si fermò, mostrando un orologio imponente che segnava un’ora cruciale; per quel giorno il suo lavoro era terminato. Affaticato e allo stesso tempo soddisfatto si tolse i guanti e i grandi occhiali, ma i ricordi non cessavano. La figura di Lei lo accompagnava anche mentre pacatamente si preparava per ritornare a casa. I capelli, gli occhi, le mani… le mani particolare importante per Giorgio. Quelle di Lei erano sottili e sinuose abbellite da anelli semplici e color argento. Non usava smalti, ma le unghia erano sempre ben curate. Semplicità e ordine appartenevano a Lei come a nessun’altra. Dov’era, cosa stava facendo, a chi stava rivolgendo il proprio sorriso? Giorgio prese coscienza che non lo avrebbe mai saputo e un senso di vuoto lo attraversò, si sentì quasi svenire, il dolore era troppo forte da sopportare, ma non poteva cedere. Prese il cappotto e la sciarpa, li appoggiò ben ordinati sul braccio destro, e decise che li avrebbe indossati poco prima di uscire.

Mentre percorreva il corridoio ad U, i soffitti dai dipinti così preziosi non avevano la solita attrattiva su di lui. E nemmeno le statue che gli sfilavano davanti con quella eleganza che la cura per le forme dei loro autori gli avevano donato, riuscirono a distoglierlo da quei coinvolgimenti mentali. Si portò dolcemente la sciarpa intorno al collo, prestando attenzione al cappotto, che mise subito dopo. Le dita corsero immediatamente verso i bottoni che allacciò in fretta in un gesto del tutto automatico, quella era una giornata abbastanza fredda. Pensò solo a quel punto che mancava il cappello, così facendo mente locale, ricordò che lo aveva lasciato a casa di Elena. Tra il cappello e la figura di Lei che si imponeva in tutta la sua forza, Giorgio si ritrovò in strada senza neanche accorgersene. Si risvegliò solo quando un suo collega gli fece insistentemente un cenno con la mano, quasi volesse mettere alla prova il suo grado di attenzione:

“Giorgio tutto apposto?” chiese il collega con aria preoccupata.

“Si sono solo un po’ stanco…. niente di particolare”, rispose Giorgio guardando furtivamente il proprio collega, come se avesse paura che gli potesse leggere dentro.

“Ho saputo di quel lavoro che ti è stato assegnato, non mi stupisce vederti così sovrappensiero, devi avere una bella responsabilità!”, affermò il collega con un uno sguardo indagatore.

“Si infatti, non ho pensiero per altro… ci vediamo”, disse Giorgio in modo sbrigativo.

Il collega lo ricambiò con un cenno della mano, stavolta più veloce e meno preoccupato.

In quel momento Giorgio prese veramente coscienza dell’importanza del lavoro che gli avevano assegnato, di quanto per lui fosse significativo un compito del genere. Ma niente da fare, i suoi pensieri erano ancora altrove, quella giornata si era fatta più fredda di quanto si aspettasse, “sarà meglio andare da Elena domani, quando avrò finito di lavorare” pensò Giorgio, sperando che l’indomani lo avrebbero accompagnato pensieri più felici. Chiuso nel suo cappotto e avvolto nella sciarpa si diresse verso casa lasciandosi estasiare per l’ennesima volta dalle bellezze della propria città.

Un vociare insistito di turisti spinse la guardia di turno ad intimare il silenzio e ad invitare alla calma; una delle guide turistiche si era lasciata andare a qualche buffa interpretazione, suscitando schiamazzi e confusione all’ingresso delle sale 10/14 della Galleria. Giorgio osservò incuriosito e le sue labbra disegnarono un lieve sorriso, riprese a camminare sapendo di essere in ritardo e l’immagine dei due cani molossi alla sommità della porta principale gli sembrarono accentuare la sua convinzione. Il cortile degli Uffizi lo accolse con poca luce e un’intensa pioggia, della stessa intensità di quella che gli bagnò i capelli quando le dichiarò il suo amore. L’ansia gli salì rapidamente al petto mentre percorreva Piazza della Signoria, con grossi respiri provò a gestirla, ma la vista di Palazzo Vecchio gli aumentò di colpo i ricordi. Voltò a sinistra e poi ancora a destra, deciso a superare come un valico Via Porta Rossa, oltre la quale lo attendeva Piazza della Repubblica. Di colpo l’inquietudine si dissolse e lasciò posto a una lieve tristezza, come un’onda che sbatte a riva e lascia esplodere in schiuma la forza motrice che l’ha sospinta in mare. In una traversa di Piazza della Repubblica, Via degli Speziali, abitava Elena. Giorgio guardò in alto affettuosamente verso il balcone e bussò al citofono.

“Si?” Fece una giovane voce.

“Ho prenotato una visita privata, è possibile salire?” chiese Giorgio.

“Salga pure”, si sentì dire ridendo e il portone emise il rumore d’apertura elettronica. Le porte di un antichissimo ascensore si aprirono sul vialetto di un giardino pensile ricavato all’interno del palazzo e si richiusero subito dopo l’accesso di Giorgio. Elena abitava in un appartamento all’ultimo piano che aveva arredato a sua immagine.

Non appena spinse la porta lasciata socchiusa, un batuffolo color bianco neve si precipitò scodinzolando verso di lui. “Briciola”, esclamò Giorgio, mentre una figura sinuosa scendeva la scala a chiocciola del salone, alle spalle del divano centrale. Elena si era stabilità lì dopo aver vinto un concorso per il Careggi di Firenze. Alta ed esile, simile ad una modella nordica, caratterialmente dalla spiccata sensibilità, dote per la quale avevo deciso di specializzarsi in chirurgia. La passione per la medicina era stata sempre forte in lei sin da piccola, quando correva ad aprire la Treccani per sfogliare affascinata la sezione d’anatomia umana. Giorgio l’aveva conosciuta ad una mostra fotografica per la quale aveva collaborato e a cui Elena era stata invitata.

“Come mai a quest’ora?”

“Sorry my love, I’ve been thinking about our house for a long time”, rispose Giorgio con tono molto allegro.

“Te li puoi risparmiare questi inglesismi e queste stupide battute”, disse seccata Elena, “in un modo o nell’altro questa “casa” devi sempre metterla al centro di ogni discorso, sta diventando un’ossessione… vado a preparare la cena non voglio discutere di queste banalità”. Fece per voltarsi che Giorgio, dopo aver ascoltato esterrefatto il rimproverò, replicò come un fulmine a ciel sereno: “se cercare casa per andare a vivere insieme è un’ossessione, come la definisci tu, allora per me cenare insieme, ma vivere distanti è una bambinata”. Si voltò e uscì nervoso sbattendo la porta.

“Vorrei sapere perché ogni volta è un litigio continuo”, disse Elena ad alta voce fissando la parete che aveva di fronte.

La mattina seguente, la mente di Giorgio era come al solito impegnata in pensieri che lo tormentavano, dandogli tregua in pochi momenti della giornata. Se prima era la figura di Lei a renderlo inquieto, ora anche la faccenda della “casa” accresceva le sue ansie. Solo la sera prima capì che Elena era quella veramente spaventata all’idea di andare a vivere insieme. Ma sinceramente non si sentiva di accusarla, perché provava la stessa paura, tanto che in lui si alternavano due forze tra loro contraddittorie: la voglia di vivere con lei e la sensazione di non riuscire a creare qualcosa insieme. Mentre rimuginava su questi pensieri, Giorgio incrociò gli occhi di Venere e colse in tutta la sua bellezza quello sguardo malinconico. Per la prima volta si chiese perché una Dea dovesse avere un’espressione velatamente triste. Perché Elena non poteva voler vivere con lui? Ci fu un momento in cui i propri pensieri si incrociarono con le riflessioni che le immagini su cui lavorava gli provocavano, fino a quando i colori, le figure, diventarono i protagonisti assoluti.

I venti che soffiavano erano diversi tra loro, perché uno era più deciso, mentre l’altro rappresentato da una donna, cercava dì calmare il primo frenandolo con le braccia. Più che due venti, a Giorgio ricordavano quelle forze contraddittorie che portava dentro. A terra una fanciulla dal vestito ricoperto di fiori, teneva il manto che doveva cingere Venere. Ma erano gli occhi di quest’ultima a parlare più di qualsiasi altro particolare; poiché si copriva le parti intime coi lunghi capelli, poteva sembrare scontato che desiderasse vestirsi, eppure il suo sguardo comunicava tutt’altro che gioia. Più che una nascita, quel dipinto sembrava raffigurare il momento in cui Venere doveva abbandonare la possibilità di amare liberamente. All’improvviso mentre era così assorto in quelle considerazioni, Giorgio pensò che avrebbe fatto una pausa per chiamare Elena e dirle che dovevano chiarire definitivamente quella situazione. Elena dal canto suo, mossa da un forte orgoglio, attendeva la sua chiamata, sicura che prima o poi sarebbe arrivata puntuale come sempre. Così quando sentì squillare il telefono, si convinse istantaneamente che tutto ancora una volta era passato come se niente fosse, rispondendo con un tono sereno: “Giorgio, che fai di bello?”

“Sto facendo una pausa, uscirò da lavoro solo alle 14.00”, rispose Giorgio con aria distaccata.

“Al lavoro?” fece Elena preoccupata e ormai disillusa dal tono di lui, “tu non mi chiami mai mentre lavori, è successo qualcosa?”

“Elena ho urgenza di parlarti!”. Il tono di Giorgio era deciso.

“Va bene, dimmi quando ci possiamo incontrare, io oggi sono impegnata ma se vuoi ci possiamo vedere domani sera”, rispose Elena.

“Domani sera è perfetto, ciao” disse Giorgio, riattaccando velocemente il telefono senza darle il tempo di rispondere.

Elena non lo riconobbe in quel timbro di voce e realizzò che stavolta lo aveva allontanato troppo da sé…

Venne subito la sera dopo e Giorgio giunto davanti casa di Elena tirò un sospiro e citofonò.

“Si?”.

“Sono Giorgio, apri” questa volta non c’era spazio per il solito scherzo. Entrò subito in ascensore e quando si ritrovò all’ultimo piano una vecchietta ben vestita e dal volto buffo gli apparve appena le porte si aprirono.

“Salve signora Gertrude” salutò prontamente Giorgio, che per un attimo cambiò umore alla vista di quella simpatica figura.

“Buonasera figliolo, che piacere vederti, stai andando da Elena vero?” gli chiese la donna.

“Si signora, lei come sta? È da tanto che non la vedo.”

“Sto bene caro anche se esco poco, ma ho Elena vicino che quando può viene a farmi compagnia.”

Di colpo Giorgio la vide che lo aspettava sull’uscio, contrariamente alle sue abitudini. Di solito, infatti, gli lasciava la porta socchiusa. “Vi lascio miei cari, non voglio trattenervi troppo. Vi auguro una buona serata”, salutò la signora Gertrude.

“A presto signora” replicò Giorgio, mentre la donna spariva dietro le porte che gli si chiudevano dinanzi.

Entrato a casa di Elena in un silenzio di tomba, Giorgio posò il cappotto e si sedette velocemente sul divano senza fare tante cerimonie, mentre lei metteva su l’acqua per il tè.

“Allora Giorgio, cosa volevi dirmi?” Chiese Elena sedendosi sul divano e mettendo le mani congiunte in mezzo alle gambe per riscaldarsi. Particolare che Giorgio notò e non poté fare a meno di prenderle una mano e fissarla. La girò e le osservò il palmo con tutte quelle linee evidenziate dalla secchezza. Poi distolse lo sguardo dalla mano e lo rivolse ai suoi occhi notando che erano lucidi.

“Non farci caso è il freddo e tra l’altro sono leggermente raffreddata” irruppe Elena, mollando la sua presa e alzandosi velocemente dal divano per controllare il tè.

“Volevo parlarti di noi due Elena” disse Giorgio, squadrandola mentre lei davanti ai fornelli gli dava le spalle.

“Questo lo avevo capito, non sono una stupida Giorgio e nemmeno tu lo sei”, si voltò di scatto.

“Elena lo so che anche io ho le mie colpe, ma quello che….”

“No senti bene” lo bloccò Elena che sembrava essere scoppiata all’improvviso “conosco la storia della casa, conosco la storia che io sono la cattiva che non ti vuole avere tra le scatole, conosco la storia ..”, comincio a ripetere scoppiando a piangere e sbattendo la tazza del tè sul tavolo.

“Elena non volevo che la prendessi così, io sono venuto qui solo per parlare, perché voglio sapere il motivo per cui non mi vuoi nella tua vita, tu sei la sola che non sa su cosa sto lavorando…”, incalzò Giorgio alzandosi e parlando velocemente per paura di essere bloccato nuovamente.

“Io non ti faccio entrare nella mia vita?” chiese Elena incredula “io e non tu che…che vivi nei ricordi di Lei”, continuò smettendo di piangere e fissando Giorgio con aria severa.

“Lei? Perché tiri sempre fuori questa storia di Lei, perché mi fai questo, lo sai che quella è acqua passata, che i mei sentimenti sono solo per te”.

“Forse hai ragione, a volte sono scostante e ti ammetto che ho paura di andare fino in fondo, ma tu….” e si voltò afflitta coprendosi gli occhi con la stessa mano che lui le aveva saggiamente osservato.

“Elena ti ripeto che quella è storia del passato” si difese Giorgio.

“Io lo so Giorgio, ma tu lo sai?”

Da quella sera non si incontrarono più. Giorgio aveva lasciato Elena appoggiata sul tavolo a piangere, perché quando sentì parlare di Lei entrò in confusione e non poté fare a meno di prendere il cappotto e andare via, deciso a chiudere la storia. Eppure nei giorni che seguirono quell’episodio, Giorgio non pensò più alla figura di Lei, perché si sentì travolgere dal pensiero di Elena. Il sentimento che lo animava stavolta non era quello della nostalgia, ma quello dell’amore.

Qualche settimana più tardi, Elena guardava volteggiare una foglia nel giardino di Boboli. Era uscita per portare Briciola a passeggio e si era fermata in un punto più silenzioso per pensare. Mentre le statue rafforzavano la sua solitudine, una farfalla attirò l’attenzione di Briciola che se ne stava tranquilla seduta sul sentiero. Elena sentì tirare con forza il guinzaglio e si destò dai propri pensieri. “Lo so che vuoi giocare, ma ora dobbiamo tornare a casa”.

All’ingresso del palazzo, Elena incontrò la Signora Gertrude e vedendola in difficoltà nel portare le borse della spesa, accorse a darle una mano. “Aspetti signora, dia pure queste a me”.

“Buongiorno Elena, non ti devi disturbare ce la faccio da sola” rispose sorridendo l’anziana donna, che nel darle le borse fece cadere un volantino ai loro piedi.

“Ti dispiacerebbe vedere di cosa si tratta? Me l’hanno dato all’uscita del supermarket” chiese con garbo.

“Riapertura delle stanze Botticelliane, ma è domani pomeriggio!” Esultò Elena.

“Quanto mi piacerebbe andarci, ma ho un’età purtroppo e gli Uffizi sono distanti da qui, le mie gambe non sono più quelle di una volta”.

“Se vuole, posso accompagnarla io”, le disse prontamente.

“Ma no, non scomodarti Elena, non è poi così importante…”, rispose la vecchietta,

“Perché no? Domani tra l’altro sono libera, ci andremo insieme”, ribatté in modo irremovibile non lasciandole altra scelta.

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Così decisa, il giorno dopo, Elena si diresse con la signora Gertrude presso gli Uffizi. Giorgio si trovava all’interno della sala e parlava con un amico delle difficoltà che aveva incontrato nell’effettuare il restauro del dipinto. Non appena si accorse della presenza di Elena, lasciò l’amico per raggiungerla, e avendo paura che potesse scomparire all’improvviso tra la folla, decise di chiamarla.

Sentendo il proprio nome, Elena si voltò incuriosita e Giorgio le apparve come per miracolo.

“E tu che ci fai qui?” gli chiese tra lo stupore e una gioia quasi infantile.

“Ho preso parte al restauro del dipinto” rispose Giorgio, riconoscendo subito la donna che le era accanto, “buonasera signora Gertrude non mi ero accorto che…”

“Non ti preoccupare caro, scusate se vi lascio soli, ma vorrei dare un’occhiata in giro. Non ti dispiace Elena?”

“No faccia pure, la raggiungerò subito”. Elena ringraziò in cuor suo quel gesto, pensando che così avrebbe potuto discutere liberamente con Giorgio. Ma rimasti soli, invece di parlare, un silenzio imbarazzante prese il sopravvento.

“Allora, non dici niente?”, domandò Giorgio scrutando Elena, che sembrava bloccata in un mezzo sorrisetto imbarazzato. Per sciogliere la tensione fece la prima cosa che gli venne in mente, ovvero prenderle la mano e invitarla con un cenno della testa a guardare quella figura su cui aveva lavorato tanto.

“È osservando il suo sguardo, che ho capito quanto sei importante per me”, la sua voce spezzò quello stato di quiete, generando in Elena una certa commozione. Le sarebbe piaciuto rispondere, magari chiedendogli scusa per il proprio atteggiamento o complimentandosi per il lavoro che aveva portato a termine, ma la gola si chiuse e i suoi occhi si strinsero brillanti per l’emozione. Giorgio scambiando quel silenzio per il consenso a una fine inevitabile, la salutò in modo rassegnato e si girò per andare via. Fortunatamente per Elena, dove la voce venne meno, si fece avanti una forza inaspettata, gli prese il braccio per voltarlo e lo baciò. Giorgio, a quel gesto inaspettato quanto desiderato, non oppose resistenza e si lasciò andare, fregandosene di tutti gli occhi che li circondavano. Tra questi c’erano anche quelli della signora Gertrude, la quale non poté fare a meno di lasciare libera una lacrima di scendere sulla guancia, mentre baciava la foto dell’uomo che più aveva amato nella vita.

In quel pomeriggio il sole batteva forte sulle finestre delle stanze Botticelliane e illuminava come non mai La nascita di Venere, mentre Giorgio ed Elena guardavano abbracciati il dipinto. Tutto il tempo trascorso a litigare sembrava ormai solo un sogno svanito con le primi luci del mattino, quando un nuovo giorno ha inizio e la voglia di viverlo vince su tutto.

Elisabetta e Giuseppe 



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