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"Il Mantra Buddista: Cos'è e a Cosa Serve"

Da Risveglioedizioni
mantra buddista Il termine Mantra è molto antico. Ricorre nel RgVeda in riferimento agli inni poetici dedicati alle selvagge divinità naturali ctonie che oggi definiamo 'divinità vediche.' I sanscritisti ci informano che il termine si riferisce alla strumentalità (TRA), della mente (MAN)...
Una successiva etimologia facente capo al tantrismo suggerisce che si tratti di qualcosa in grado di proteggere la mente. Chiaramente in questo caso non esiste una vera e propria corrispondenza etimologica. Frits Staal - eminente sanscritista - si spinge a suggerire che semplicemente non esiste etimologia, dato che tutto quanto espresso con il mantra non farebbe parte di alcun linguaggio. Le ragioni per cui i buddisti hanno iniziato a riconoscere un qualche significato a fonemi come il famoso OM o ronzio, ad oggi rimane oscuro. Mantra Buddhista Il Canone Pali (l'insieme dei testi che racchiudono gli insegnamenti del Buddha e l'interpretazione della sua dottrina - n.d.t.), vieta ai monaci di recitare i mantra o di raffigurare il Dharma con versi in stile vedico, e il Buddha prende in giro ripetutamente coloro i quali ricorrano al canto dei mantra bramini. Ma allo stesso tempo esiste una serie di canti canonici (paritta) finalizzati ad allontanare la sfortuna, e nei primi anni della letteratura post-canonica si celebravano cerimonie in cui la pratica fu formalizzata. Di frequente i testi paritta sono citati come precursori del mantra buddista, sebbene esistano molte differenze (sia formalmente che dottrinalmente). (...) La fase finale dello sviluppo nel mantra 'moderno' inizia verso la metà del 7° secolo, quando nei nuovi testi i mantra diventano improvvisamente elemento principale. Tali testi descrivono elaborati rituali di iniziazione e di propiziazione il cui obiettivo è quello di trasformare il praticante in un Buddha. Testi che non furono introdotti da Sakyamuni (Buddha storico - n.d.t.), ma provengono direttamente dal Buddha Dharmakaya. Il Dharmakāya nel Trikāya (dottrina dei Tre Corpi del Buddha) corrisponde al 'Corpo del Dharma', cioè il piano degli insegnamenti o della realtà ultima: immateriale, priva di forma, inconcepibile. Esso corrisponde alla vacuità della illuminazione. Riassume in se gli altri due corpi ed è indicato anche mediante il termine dharmatākāya (Corpo della Realtà). (n.d.t.) Nel buddhismo tantrico ogni attività è contrassegnata, o addirittura potenziata, da un mantra. Il rituale fondamentale è la abhiseka o iniziazione. E' mediante la abhiseka che il Buddha Dharmakaya ha comunicato il proprio status di Risvegliato attraverso il triplice mezzo del mudra, mantra e mandala. Il Tantra incorpora molti principi di tradizione vedica concernenti il suono, le parole e la lingua parlata. Tuttavia in questo contesto l'importanza è data solo dall'atto pratico. Una persona 'comprende' un mantra solo attraverso la pratica, cioè recitandolo 100.000 o un milione di volte, senza pensare al suo significato. In questo contesto la questione di cosa significhi un mantra è molto meno importante dei suoi effetti pratici, i quali possono essere scoperti solo sperimentandolo in prima persona. Ci sono tre ambiti principali in cui i mantra vengono utilizzati nel Buddhismo Tantrico: rituali, riti devozionali e uso personale e non rituale. Mantra Tantrico Rituale Fondamentale per il mantra tantrico è la vecchia idea vedica della compenetrazione dei fenomeni tramite il Sutra. Come asserì Michel Foucault, gli antichi non concepivano la conoscenza in termini di identità e differenza, ma in termini di relazione e somiglianza. I sacerdoti vedici sarebbero stati in grado di controllare la natura selvaggia (in particolare i monsoni e il sole), manipolando qualcosa di esistente sulla terra. Intorno a questo concetto si sviluppò la tradizione rituale dei bramini in cui il fuoco (personificato come Agni) era il mezzo di comunicazione tra cielo e terra, in quanto capace di tramutare le cose da uno stato ad un altro: Agni ricopriva il ruolo di Hermes, o degli Angeli. Poi la tradizione andò mutando fino a quando tale facoltà fu descritta in maniera sempre più astratta, al punto da considerare la possibilità di manipolare il mondo solo mediante la immaginazione. Si consideri che in termini buddisti è sufficiente pensare al Buddha, per trovarsi al cospetto del Buddha in senso letterale. L'idea del rituale era implicito nel sadhana, ed esplicita nei rituali del fuoco (Homa) importati direttamente dalla tradizione vedica. Questa non è una spiegazione mistica, ma si basa semplicemente su un episteme (un modo di conoscere), poco noto in Occidente. Un'eccezione potrebbe essere qualcosa come l'omeopatia, la quale opera sulla base degli stessi principi, e funziona solo a condizione che chi se ne giovi creda nel suo funzionamento. Kukai (monaco fondatore della scuola tantrica Shingon, intorno all'anno 1000 - n.d.t.) soleva dire che: "tutti i suoni della voce del Dharmakaya predicano il Dharma". In parole più semplici, significa che la natura di tutta la realtà è esplicita in tutte le esperienze. L'esperienza è contraddistinta da precarietà e inconsistenza. I suoni sono particolarmente adatti per contemplare tale verità, in quanto la precarietà della loro nascita e scomparsa è ancora più evidente di quella dei pensieri o delle forme. Il suono è per propria natura non permanente e inconsistente. Dunque il mantra qui costituisce un punto di riferimento per la contemplazione della visione buddhista in merito alla natura inconsistente e precaria dell'esperienza. Le regole di tale tipologia di mantra sono molto specifiche e correlate a fattori logistici. E' necessario ricevere una iniziazione da parte di un maestro qualificato, altrimenti anche recitando i suoni giusti non si sta comunque recitando un un mantra. Il mantra va inoltre recitato nel luogo appropriato, all'interno di un rituale specifico tramandato dal Dharmakaya tramite generazioni di maestri, e deve essere accompagnato dal mudra appropriati, altrimenti il ​​mantra non ha alcun potere. Mantra Devozionali Nei rituali devozionali i mantra sono utilizzati per evocare un Buddha ed esprimere sentimenti devozionali e fede verso il Buddha per salvare gli esseri umani. Il Buddha Amitabha è spesso fatto oggetto di devozione, anche con il mantra di Avalokitesvara (noto come OM o HUM) nato per essere utilizzato in questo modo, sebbene in molti casi sia finito per diventare un mantra completamente tantrico. La finalità assolta dai Mantra in questo contesto è essenzialmente una forma di ricordo del nome di Buddha (nāmanusmṛti smrti nāma), il quale fa si che qualsiasi persona che tenga a mente il suo nome potrà rinascere nella Terra Pura. Vi è anche una ulteriore finalità di questa pratica, ancora più antica: portando il Buddha alla mente mediante la immaginazione l'iniziato può migliorare i propri sentimenti di ispirazione. Aspetto peculiare di questo tipo di pratica è che essa implica l'esistenza di un 'potere esteriore' che ci può aiutare, ossia Amitabha o Buddha. Tale aspetto può apparire in contrasto con le dottrine buddiste secondo le quali ognuno sia responsabile delle conseguenze delle proprie azioni, e raccolga i frutti del proprio karma. Sangharakshita incoraggia a considerare questa pratica figuratamente, come trovare un Rifugio. Il canto ritmico è noto per stimolare il rilascio di endorfine che motivano la sensazione di benessere, e persino l'estasi, che accompagna il canto di gruppo. Mantra Informali Infine, molti buddisti usano il mantra in contesti non-rituali come espressioni di devozione e fede, e sotto forma di preghiera rivolta al Buddha. Si è spesso notato che il ronzio Om è quello più utilizzato dai tibetani ordinari. Non esiste alcuna regola per questo tipo di utilizzo. Gli effetti dipendono dalla volontà della persona che lo canti o lo reciti, il quale si ritrova spesso ad essere ispirato da nuove idee e 'potenti vibrazioni.' Alcuni fruitori del mantra giurano di essere riusciti attraverso di esso a scongiurare particolari sventure, e numerosi altri semplicemente asseriscono di sentire un senso di conforto nell'atto di praticare il mantra. Al di là del contesto rituale, tuttavia, l'uso dei mantra mi sembra una pratica attigua alla superstizione: se io canto un mantra per chiedere aiuto ad un essere soprannaturale, allora la mia pratica comincia ad assomigliare al teismo, dunque molto simile alla pratica della preghiera nei confronti di un santo o della Vergine Maria. La differenza fondamentale è che il buddista è sempre l'unico responsabile delle proprie azioni, e non può incolpare forze o esseri superiori. Nulla può sostituire la pratica individuale dell'etica e della meditazione. Conclusioni Il significato di ogni mantra dipende dal contesto. Ogni contesto richiede una propria spiegazione, e le regole di un contesto non possono applicarsi in un altro contesto. Nella gran parte dei casi il mantra viene praticato solo nell'ambito del contesto tantrico, tuttavia, dato che la pratica di quest'ultimo richiede specifiche condizioni - abhiseka, accompagnamento dei mudra ecc - è raramente applicabile al di fuori del rituale tantrico. In questo caso possiamo considerare il mantra come una forma di pratica devozionale, un ricordo del Buddha, al fine di rafforzare la nostra determinazione a fare ciò che deve essere fatto. Fonte: Autori Vari / www.anticorpi.info

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