

Il mare -diceva Samia – è la prima cosa che ho sentito appena nata è stato l’odore del mare che percorreva difilato tutta la strada dal litorale al cortile di casa, della salsedine che ancora porto sui capelli e sulla pelle, dell’umidità che permea ogni molecola dell’aria.
Di pomeriggio io e Alì, passando per i vicoletti che solo lui conosceva, ci avvicinavamo all’enorme vastità del mare. Morivamo dalla voglia di tuffarci. Quell’enormità era lì davanti ai nostri occhi e noi non potevamo entrarci.
La sabbia era calda e sottile come pagliuzze d’oro. Attorno non si vedeva nessuno. Abbiamo cominciato a rotolarci, a fare la lotta infilandoci la sabbia dappertutto, dentro i capelli ricci e neri, dentro i vestiti, ovunque.
Una volta, una sola volta, in preda a una forza più grande di noi, lentamente ci siamo avvicinati all’acqua. Un piccolo passo dopo l’altro, quasi senza rendercene conto. Era una distesa bellissima, gigantesca, come un elefante che dorme e respira profondamente. Le lunghe onde poi facevano un suono meraviglioso che assomigliava a una voce.
La notte poi, dopo quella vicinanza, ho sognato le onde. Ho sognato di perdermi dentro quella vastità, di lasciarmi cullare, farmi portare su e giù inseguendo l’umore dell’acqua.
Ecco, la guerra, per esempio mi ha portato via il mare. Però , in compenso, mi ha fatto venire voglia di correre. Perché grande come il mare è la mia voglia di andare. La corsa è il mio mare.
Reading da”Non dirmi che hai paura” di G.Catozzella- Feltrinelli (pag 14, 15, 16).
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
