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Il master plan per il mezzogiorno e la politica industriale

Creato il 21 dicembre 2015 da Sviluppofelice @sviluppofelice

Il documento 11-1-2016 di Riccardo Cappellin  

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La proposta di politica industriale e regionale del Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”

Una strategia efficace di ripresa dell’economia del Mezzogiorno dovrebbe innanzitutto focalizzarsi sui problemi prioritari come:

  • la sostanziale stagnazione del commercio internazionale e la necessità di espandere la domanda interna come driver delle produzioni nazionali e del Mezzogiorno;
  • la progressiva entrata in crisi delle produzioni che hanno caratterizzato il primo ciclo di industrializzazione del Mezzogiorno e la carenza di produzioni nuove ed innovative;
  • il crollo degli investimenti e soprattutto degli investimenti pubblici e in costruzioni;
  • l’alta disoccupazione soprattutto giovanile nel Mezzogiorno,.

Essa dovrebbe definire obiettivi precisi in termini delle variabili economiche suindicate (esportazioni, domanda interna, produzioni, investimenti e occupazione) in modo da poter verificare l’efficacia degli strumenti che si intende attivare e poter quantificare le risorse finanziarie che sarebbero necessario mobilitare.

La politica monetaria espansiva della BCE, la svalutazione dell’euro e la riduzione del prezzo del petrolio sono certamente fattori esterni positivi ma il governo nazionale deve dare un contributo proprio alla crescita agendo sui fattori interni ed innanzitutto sulla ripresa degli investimenti e dell’innovazione. I mercati non sono in grado di assicurare automaticamente il necessario coordinamento tra le diverse imprese e gli altri attori economici come la finanza ed è necessaria una azione decisa del Governo nel promuovere la circolazione delle informazioni, la generazione di processi interattivi di creazione di nuove conoscenze e il coordinamento delle decisioni di investimento private e pubbliche.

La crisi o la stagnazione economica nel Mezzogiorno è dovuta alla carenza di un adeguato flusso di investimenti privati e pubblici. Questo è connesso con tre fattori:

  1. a) gli investimenti sono diminuiti a livello nazionale in Italia;
    b) gli investimenti fatti nel Mezzogiorno non sono stati capaci di determinare un processo di crescita autosostenuto;
    c) molti dei fondi disponibili per investimenti nel Mezzogiorno non sono stati spesi.

Alla base di questi tre fattori di crisi vi sono diverse cause ma certamente un ruolo fondamentale ha la carenza di innovazione e di una politica industriale che stimoli l’innovazione non solo nelle singole imprese e nelle amministrazioni pubbliche, ma anche a livello del sistema produttivo complessivo.

Innanzitutto, è necessaria un’innovazione nelle politiche economiche. Le politiche macroeconomiche dell’Unione Europea, ma anche le strategie delle banche e delle imprese hanno seguito un approccio “conservatore” e sono state condizionate dalla priorità assegnata all’obiettivo della stabilità finanziaria e questo ha portato a ridurre l’indebitamento a lungo termine, a ridurre i costi correnti sia nel settore pubblico che in quello privato e a rinviare o cancellare i progetti di investimento, in modo da rendere più solidi i bilanci. La strategia alternativa è indicata da un approccio che potremmo definire “progressista” ed è quella di promuovere la crescita investendo nello sviluppo di settori nuovi, dato che la crescita è anche strumentale ad un risanamento dei bilanci delle imprese, la riduzione delle sofferenze delle banche e la riduzione del rapporto debito/PIL dello Stato. Come nelle decisioni di investimento degli operatori finanziari ad una strategia “value” si contrappone una strategia “growth” e la scelta dipende dalle “asimmetrie informative”, dalle conoscenze e dalle “capacità innovative” del soggetto considerato e dalla sua minore o maggiore “avversione al rischio” o “orientamento al futuro”. Chiaramente, la stessa crisi economica, la turbolenza del quadro finanziario e politico nazionale e internazionale e la minore fiducia degli attori hanno portato ad una logica di breve termine che ha penalizzato gli investimenti e la crescita stessa.

Le politiche di austerità, anche se hanno messo sotto controllo la spesa pubblica e hanno assicurato la stabilità finanziaria, di fatto hanno ostacolato la ripresa economica. E’ difficile raggiungere un pareggio di bilancio in una situazione di recessione o stagnazione e sarebbe stato meglio come negli Stati Uniti avviare prima la ripresa, che naturalmente avrebbe aumentato le entrate fiscali, e quindi promuovere una graduale riduzione della spesa pubblica. A livello nazionale gli investimenti pubblici sono stati ridotti per dare priorità alle spese correnti o alla tax expenditure in termini di riduzioni di imposte per le imprese e le famiglie. Ma questo ha chiaramente avuto un effetto deflattivo: certamente più immediato e più forte dell’effetto espansivo delle minori imposte. Inoltre, a livello regionale e locale, gli investimenti pubblici sono stati bloccati da un’interpretazione restrittiva del patto di stabilità.

Sono stati compiuti errori di politica economica, come risulta dai dati sia del 2014 che da quelli previsti per il 2015 e 2016 dalla Commissione dell’Unione Europea, che indicano un contributo delle esportazioni nette alla crescita del PIL pari a 0,1 nel 2014, allo 0 nel 2015 e al -0,3 per cento nel 2016. A causa delle crisi economica internazionale, la dinamica delle esportazioni nette è stata più debole ed ha avuto un impatto positivo sulla crescita del PIL minore di quella dei consumi privati, nonostante che le misure fiscali prese dal governo a favore delle imprese abbiano esplicitamente mirato ad aumentare la competitività internazionale delle stesse, invece che essere orientate fin da subito a stimolare la domanda interna e in particolare la crescita degli investimenti sia pubblici che privati. Agli investimenti avrebbero dovuto essere destinate le risorse finanziarie che sono invece state destinate a riduzioni fiscali generali o automatiche per le imprese e per le persone fisiche.

Il governo ha perso la finestra di opportunità che da un anno esisteva a livello internazionale e non ha saputo integrarla con fattori di stimolo della domanda interna, ed ora la congiuntura internazionale sta volgendo al peggio. Sarà molto più difficile per l’economia italiana andare controcorrente. L’unico elemento dinamico sono i maggiori consumi privati ma non potranno fare molto da soli di fronte ad una stagnazione o diminuzione delle esportazioni, degli investimenti e della spesa pubblica.

Il Governo italiano ha seguito una politica di austerità e si è concentrato solo su obiettivi di tipo finanziario e non di tipo reale e non e’ stato capace di lanciare iniziative di sviluppo industriale e di investimento pubblico e privato. Il Governo si è basato sull’effetto miracoloso delle riforme del mercato del lavoro o delle riforme strutturali. Pertanto, l’economia italiana ha incominciato a muoversi in ritardo quando gli altri stanno rallentando. L’economia italiana forse può proseguire da sola tirata dalla domanda interna ma le esportazioni diminuiranno.

(da Linee guida del Masterplan per il Mezzogiorno e la nuova politica industriale, paragrafo 2, di R. Cappellin, 11 novembre 2015)


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