Cresciuto in una famiglia lontana da Dio, esperienze e incontri l’hanno condotto alla Olivier Rey. «È stato un lungo cammino. Ma resto sempre meravigliato quando penso all’infinita dolcezza con cui Dio ha saputo prendermi», ha commentato. Alla kermesse riminese ha presentato il suo ultimo lavoro, “Itinerari dello smarrimento. E se la scienza fosse una grande impresa metafisica?” (Ares 2013), nel quale critica l’approccio epistemologico della scienza moderna che, tradendo il metodo e le finalità originari della scienza classica, scivola spesso in un pericoloso scientismo.
«Il mio libro non è contro la scienza», ha spiegato il professore, «piuttosto vuole criticare il posto che la scienza ha occupato nella società moderna. Lo smarrimento di cui io parlo viene dal fatto che la scienza quando la si considera come fonte principale ed unica della verità arriva ad annientare la distinzione degli ordini ed in particolare a marginalizzare l’ordine della carità». E ancora: «quando Cristo dice “io sono la verità” si vede bene che la verità ha un senso che ha poco a che vedere con la scienza come viene intesa oggi. Il problema non è la scienza in se stessa ma il ruolo che si fa giocare alla scienza». E’ evidente che «mettere la scienza al giusto posto non vuol dire imporle dei limiti ma permetterle, magari a lungo termine, di esprimersi al meglio
Se la scienza classica cercava la verità, quella moderna si preoccupa soltanto dell’esattezza delle proprie acquisizioni. Così essa non è più «un modo per rendere grazie a Dio». Ecco perché, citando Pascal, «quando la scienza esce dal suo ordine, non è il suo trionfo, ma il suo naufragio». «La scienza è un modo di amare Dio», ha concluso, «per questo motivo lo smarrimento di cui parlo nel libro è precisamente il fatto che invece la scienza è diventata un modo per detestare Dio».
Qui sotto Oliver Rey presenta il suo ultimo libro parlando di scienza e fede