Il medico svizzero Foletti commenta il referendum sul suicidio assistito

Creato il 29 maggio 2011 da Uccronline

Zurigo ha recentemente respinto un referendum che chiedeva l’abolizione dell’eutanasia passiva. Il dottor Antonio Foletti, tra i responsabili del reparto di antalgia dell’ospedale di Losanna, ne ha spiegato l’esito e ha rivelato quel che certa stampa non ha voluto dire.

Molti hanno sottolineato il fatto che l’80 per cento ha votato contro, «anche se – precisa Foletti – se poi si va a vedere bene chi ha votato è solo il 30% della popolazione di Zurigo, il che vuole dire che di questi solo una persona su quattro ha bocciato queste proposte ed è favorevole al suicidio». La grande maggioranza della popolazione non si é recata alle urne e non si sa cosa pensi. Non si dice nemmeno che il numero di suicidi all’anno in Svizzera è andato riducendosi, oggi la cifra è esigua. Eppure è legale dal 1941. Nel tempo, continua il medico, «c’è molto disinteresse, come per tante altre cose in Svizzera. La gente è lasciata sola a farsi un’idea, e chi fa molto rumore (come Exit o Dignitas, le due società che fanno business sul suicidio), diventa quasi l’unica “compagnia” che ti aiuta a vedere chiaro in questi momenti drammatici».

L’eutanasia attiva non è permessa in Svizzera, «l’unica cosa che possono fare è prepararti una pozione da bere. Se guardo le persone con cui lavoro vedo che pur con vergogna disapprovano ciò che sembra moderno e inevitabile, sentono che la loro coscienza dice che l’eutanasia è male, ma poi non osano esprimere questo disagio per via di un potere totalmente avverso». L’ospedale di Losanna è stata la prima grande struttura ospedaliera elvetica ad ammettere la possibilità di portare a termine un «suicidio assistito» all’interno delle sue mura. Commenta il dott. Foletti: «Ho incontrato persone che mi hanno chiesto di morire: nella maggior parte dei casi hanno cambiato idea. Nel mio ospedale il suicidio assistito è permesso da cinque anni, ne è avvenuto uno».

Il medico, dalle colonne di Tempi, ha anche parlato della sua esperienza professionale: «Solo se sai che la vita non finisce con la morte, il dolore non ti schiaccia più, anche se resta e continua a fare male. Solo quando si guarda il malato così, tenendo conto di questo suo misterioso destino lo si può abbracciare in tutta la sua realtà, che nel caso del dolore può essere drammatica. E allora si cerca anche di alleviare le sofferenze e di curare al meglio proprio perché l’altro ha un valore infinito. Chi soffre si accorge se c’è questo riflesso negli occhi di chi lo assiste. Alcuni miei pazienti che parlavano di eutanasia quando si sono sentiti guardati così hanno deciso di andare avanti a vivere fino alla fine. Molti trovano una pace inaspettata e iniziano ad accettare la malattia perché si accorgono che non è quella a definirli. Poi certo c’è la libertà e alcuni si ribellano, ma occorre fare compagnia anche a loro fino alla fine».


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