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Il Mental Coaching al cospetto dei "Giganti"

Creato il 03 dicembre 2012 da Ekis Sport Coaching @Ekis_srl

Superare i limiti è una questione di testa

Nella prima settimana di Novembre c’è stato l’ultimo Impara dai Campioni dell’anno 2012, per la precisione a Roma, e per due giorni il nostro grande Livio Sgarbi ha incantato la platea parlando di Mental Coaching, e di come lo sport sia metafora e ispirazione per la vita.

Scrivere in questi tempi di allenamento mentale è davvero una grande fortuna.

Abbiamo visto come i campioni dello sport pensano, agiscono, e reagiscono in ogni fase delle loro performance. Come sviluppano le loro giornate di training, il peso che danno all’allenamento mentale, dove nascono le motivazioni che li spingono, e il modo in cui trovano soluzioni alle difficoltà che incontrano.

Un vero campione non vede mai un problema, ma come diremmo noi Mental Coach un’occasione nuova per misurarsi con se stesso!!!

Tutto questo e tanto altro sarà adesso fonte di grande ispirazione nella la vita di ogni giorno alle persone che hanno partecipato a quello straordinario week-end.

In onore al messaggio che ogni campione porta con se e ci rivolge, oggi voglio che ci confrontassimo con due veri “Giganti” dello sport e della vita, ai quali l’Italia ha dato i natali e che tutto il mondo ci ha invidiato.

Parleremo di due pionieri, due antesignani nelle relative discipline che sono stati dei veri precursori di quello che noi oggi conosciamo come Mental Coaching.

La grande capacità di andare oltre le ideologie dei loro tempi, di sottrarsi alle errate convinzioni del mondo scientifico, e di anticipare metodi di allenamento basati sulla mente oltre che sul fisico, li hanno consacrati come dei pilastri del credere in se stessi, e nelle capacità dell’uomo.

De Gregori avrebbe cantato…”Una storia di altri tempi, di prima del motore….”.

Ecco non siamo proprio a prima del motore, ma di sicuro questa è una storia di altri tempi.

Immaginate per un attimo, magari qualche filmato o fotografia dell’epoca vi possono essere di aiuto, di affrontare le montagne più impervie, o gli abissi più profondi, senza l’ausilio delle  moderne tecnologie. O meglio, con quello che c’era a disposizione negli anni ’50/’60.

Mentre milioni di persone si infiammava alle loro imprese, la comunità scientifica li considerava dei folli più che degli atleti, che andavano contro alle più elementari leggi della medicina e della fisica!!

Pensate alla forza delle decisioni di questi due uomini, alle loro convinzioni e alla loro mentalità vincente. A quanto fossero, oltre che protagonisti, anche Coach di loro stessi.

I due personaggi in questione sono: Walter Bonatti e Enzo Maiorca (quest’ultimo ancora in vita e per di più lucidissimo). E adesso vi racconterò di come hanno cambiato la storia.

Mente, cuore e Sport Coach

Il Secolo XIX il 1 novembre 1960, a firma Massimo Zamorani, titolava:

“Il “sub” siracusano Maiorca sfida oggi la soglia dello schiacciamento.” e prosegue nel sottotitolo, “Tenterà di scendere senza autorespiratore oltre i 45mt, verso la terribile “quota cinquanta”, dove ogni spinta di galleggiamento è esaurita e la colonna d’acqua preme come un grattacielo.

Nell’articolo oltre ad esaltare le gesta di Maiorca, viene più volte detto che la medicina considerava   impossibile raggiungere tali profondità senza andare incontro ad una morte certa!!

Pensate alla convinzione di Maiorca del poter fare quello che tutti consideravano impossibile, e per di più a rischio della vita. Lui stesso ha dichiarato più volte che la sua non fu una follia, ma una visione esperienziale che aveva potuto provare già tante volte sul suo corpo, e che nessuno scienziato che non fosse mai sceso a profondità simili avrebbe mai potuto comprendere.

Oggi sappiamo che aveva ragione lui, visto che durante la sua carriera è sceso fino a 101mt, ma al tempo si stava riscrivendo la storia della fisiologia umana.

Nello stesso articolo veniva dichiarato..”Se Maiorca raggiungerà i 50mt, sposterà un limite ritenuto da alcuni studiosi- e si tratta di fisiologi specializzati in materia subacquea- invalicabile per l’uomo a corpo libero. Al livello di 50mt, si afferma, il peso della colonna d’acqua prevale sulla resistenza delle strutture organiche umane e supera il carico di rottura della gabbia toracica.”

Maiorca nelle sue varie interviste ha parlato spesso di come ogni volta che abbatteva un record di profondità, e lo stesso valeva per i suoi rivali storici, fra tutti Jacques Mayol, la comunità scientifica si uniformava sul fatto che si era raggiunto il limite umano, e che si sarebbe andati incontro alla morte se si fosse scesi ancora.

Praticamente per i medici Maiorca, che è tuttora in vita e gode di ottima salute a 81 anni, sarebbe dovuto essere già morto almeno una quarantina di volte.

Ogni volta che doveva affrontare una immersione alla ricerca di un nuovo record doveva combattere nei giorni precedenti e soprattutto la notte prima con tutte le frasi scettiche e drammatiche dei vari esperti e scienziati che gli “trapanavano” il cervello. Racconta lui stesso,

da abilissimo Mental Coach aggiungo io, anche non conoscendo la materia, che per evitare che questi “mantra negativi”, che non riusciva a non far entrare nella sua testa, minassero la sua convinzione, faceva in modo di trasformarli in domande, alle quali  rispondeva per le rime smontando le varie teorie. Altre volte ha fatto intuire, dichiarare apertamente queste pratiche lo avrebbe fatto passare per matto più di quanto non fosse già considerato tale, che non potendo cambiare il contenuto cambiava il tono e il timbro di quelle frasi. Si..si..avete capito bene, e senza sapere cosa fosse un cambio di sottomodalità. L’obiettivo sarebbe stato quello di distorcerle in modo che fossero meno spaventose ed autorevoli, pensate quanto era avanzato questo ragionamento, e che addirittura diventassero ridicole al fine di farlo ridere.

Come volete chiamarle queste tecniche se non Mental Coaching.

Rendetevi conto da quale forza di volontà e da quale sicurezza nelle proprie capacità doveva essere pervaso. Convinzioni salde come roccia e determinazione assoluta.

Queste caratteristiche lo hanno accompagnato per tutta la vita, ed assieme ad una costante ricerca introspettiva dei propri valori e della propria identità, hanno fatto si che venisse considerato un rivoluzionario. Il primo nelle immersioni a mettere la solidità mentale almeno alla pari di quella fisica.

L’altra storia della quale vi voglio parlare è quella di Walter Bonatti, un uomo che invece di guardare al mare ha dedicato una vita alla montagna e alla sua esplorazione. Nel giro di pochissimi anni, 3 per la precisione, da “enfant prodige” dell’alpinismo italiano, che a soli 21 anni dopo aver ripercorso numerose “vie” di famosi alpinisti dell’epoca fece sua una vetta mai scalata, e addirittura dichiarata troppo rischiosa da affrontare, il Grand Capucin sul Monte Bianco, passò ad infame bugiardo e cospiratore nella storica impresa Italiana del ’54 sul K2, che culminerà con la conquista della vetta da parte dei capocordata Compagnoni e Lacedelli.

Furono proprio i due “amici” di cordata, protetti dal silenzio del capo spedizione, Ardito Desio, ad accusare Bonatti non solo di aver messo a rischio la buona riuscita della scalata, ma di aver mentito su come si fosse giunti fin sulla vetta, e anche di aver manomesso le attrezzature per evitare che i due la raggiungessero al fine di avere in seguito una sua gloria personale.

Oggi sappiamo che non è andata così, ma ci sono voluti 53 anni per ristabilire la verità, e che il contributo di Bonatti all’impresa non fu soltanto necessario, ma assolutamente indispensabile!!

La versione che oggi tutti sanno e danno per assodata, racconta di un ragazzo che assieme ad uno sherpa rischiò la vita per portare 38kg di bombole ai suoi compagni, Lacedelli e Compagnoni, che si trovavano molto più in alto di lui pronti a dare l’assalto alla vetta il giorno dopo; di un appuntamento prefissato ad una certa altitudine, dove però Bonatti non trovò nessuno perché i due si piazzarono circa 250mt più in alto; di una mancata assistenza proprio dai due capocordata; e addirittura di un ordine di retrofront sempre dai due, impossibile da eseguire per l’ormai calata della notte.

Il risultato di tutto questo fu un pernottamento senza tenda, senza sacco a pelo e senza nessun tipo di riparo, ad una altitudine superiore agli 8000mt con una temperatura che scese a -50°,

e con l’abbigliamento invernale della metà del secolo!!

Sogni che diventano realtà.

Bonatti dichiarò qualche anno più avanti…:

« Quella notte sul K2, tra il 30 e il 31 luglio 1954, io dovevo morire. Il fatto che sia invece sopravvissuto è dipeso soltanto da me... »

Sia lui che il suo sherpa sopravvissero, ma la ferita che si porterà dietro lo tormenterà per il resto della vita. Una vita dedicata a riscattare il suo nome, e a lottare perché la verità sulla spedizione saltasse fuori.

Pensate a quel ragazzo di 24 anni schiacciato da una tale infamia in uno dei momenti storici dell’alpinismo mondiale, che non solo rischiò la vita perché si riuscisse nell’impresa, ma che addirittura venne tradito e poi lasciato al suo destino proprio da chi due giorni dopo si erse a ruolo di giudice accusandolo.

Soltanto la certezza della verità, i suoi valori profondi, e la grande solidità dell’”Uomo” Bonatti fecero si che al posto di crollare sotto le pesanti accuse, si rimboccasse le maniche e continuasse a scalare diventando uno dei pionieri dell’alpinismo in solitaria.

Proprio così, da solo. L’esperienza vissuta non lo fece mai più stare tranquillo insieme ad altri scalatori, a parte qualche suo storico amico di cordata che lo accompagnerà in alcune future imprese, tutta la sua carriera si fondò sull’esaltazione della solitudine.

Era nato l’alpinismo estremo in solitaria.

Al tempo quello che iniziava a proporre Bonatti, cioè aprire nuove vie ed affrontare nuove vette da solo o al massimo con un altro alpinista, era considerata una follia pura; una condanna a morte ad ogni uscita!! Non soltanto per questioni di sicurezza fisica o delle più elementari norme di primo soccorso, ma soprattutto per ragioni di ordine psicologico. Era idea comune fra gli psicologi del tempo che la solitudine in condizioni estreme fosse causa di pazzia e di turbe di ogni genere.

Anche qui ci troviamo di fronte ad una rivoluzione dell’uomo, che con coraggio e determinazione affronta le convinzioni della comunità scientifica e le ribalta.

Nelle varie interviste rilasciate in tutta la sua lunghissima carriera, e come scrive anche nei suoi numerosi libri, Bonatti racconta di regolari pratiche di addestramento mentale: anticipazioni nella sua testa di quello che avrebbe fatto per affrontare una parete o un passaggio complicato, con risultato finale positivo; frasi motivanti recitate fino alla nausea durante i bivacchi appeso alla roccia; atteggiamento positivo e motivante durante le lunghe ore di scalata per mantenere alto il morale, insieme a lunghi dialoghi con se stesso per scavare nella sua vera identità.

So perfettamente che adesso queste cose sembrano quasi una normalità, ma a quel tempo il solo pensare di fare quello che per Bonatti era routine, apparteneva alla fantascienza più spinta.

Il modo di affrontare le paure, la forza delle convinzioni e dei valori, la determinazione alla base di ogni singola scelta fatta in parete rappresentavano e ancora rappresentano, come dichiarano tutti i più grandi scalatori moderni, il prototipo di quello che è il più attuale pensiero di concepire l’ascesa estrema in montagna. Stiamo parlando di affrontare da soli cime come il Cervino, i vari versanti del Monte Bianco, le più aspre vette dell’Himalaya e della Patagonia. Di aprire nuove vie su pareti considerate inscalabili per i mezzi degli anni ‘50/’60: pesanti corde di canapa, chiodi fatti a mano, tende per il bivacco di materiale non impermeabile e nessun accessorio di normale confort adesso esistente sul mercato.

Grazie a doti fisiche eccezionali, ma soprattutto a capacità di concentrazione, ottimizzate e portate al massimo dal quotidiano allenamento, si sono potute scrivere in 40 anni di carriera le pagine più esaltanti dell’alpinismo del XX secolo.

Io vi invito a leggere di questi due “Giganti”, e di tanti altri uomini che hanno realmente rivoluzionato il modo di affrontare l’impresa sportiva; di come siano riusciti ad intuire che soltanto quello che fosse realmente voluto a livello mentale sarebbe poi stato effettivamente realizzato, e di come i grandi campioni diventano tali soltanto guardandosi dentro.

Plasmando i propri valori e le proprie convinzioni.

 


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