Con la sua vita dissoluta nella raffinatissima Venezia del Rinascimento, il bel Bassanio (Joseph Fiennes) ha speso tutto il suo patrimonio. Ora però il giovane gaudente è innamorato della splendida Porzia (Lynn Collins) e non sa come presentarsi al suo cospetto senza apparire ridicolo: la ama e non può rischiare di essere indegno di cotanto partito. La donna, per altro, è orfana, dunque libera dalla volontà paterna e sottopone i suoi pretendenti a una ridicola prova d'azzardo in attesa dell'amore vero. Bassanio non può proprio perdere la sua occasione. Chiede, perciò, aiuto ad Antonio (Jeremy Irons), il suo più caro amico, mercante in attesa di un ricco bastimento che lo ripagherà dei suoi rischi. L'uomo, d'altra parte, non ha contanti disponibili, ma si offre di far da garante per il giovane che ama dal profondo del cuore. Bassanio si reca allora presso un usuraio ebreo, Shylock (Al Pacino), che - in virtù di vecchi screzi con Antonio - concede, sì, i tremila ducati al giovane, ma propone uno strano contratto: se non gli fossero ritornati i soldi allo scadere dei tre mesi, avrebbe preteso una libbra di carne dal corpo di Antonio, vicino al cuore. Nelle settimane successive, vari episodi, tra cui la fuga d'amore di Jessica (Zuleikha Robinson), figlia di Shylock, con Lorenzo (Charlie Cox), esacerbano l'animo dell'usuraio, cosicché l'uomo, quando sa che il carico di Antonio è naufragato, pretende giustizia, vuole il suo pegno, la sua libbra di carne. Non serve a niente la ricchezza che la bella Portia fornisce a Bassanio per aiutare l'amico, non serve il doppio, il triplo, un multiplo qualsiasi dei tremila ducati, Shylock è assetato di vendetta e porta il mercante di Venezia in tribunale, al cospetto del Doge, per avere giustizia.
Opera di straordinarie simmetrie, amorose e non, Il mercante di Venezia (2004, tit. or. The Merchant of Venice) di Michael Radford è uno dei film tratti da Shakespeare che rivedo con più piacere, anche perché mi incanta, attraverso una riscrittura fedelissima, la tensione drammatica di tematiche forti e profonde a me molto care. È molto difficile sbrogliare il nodo di quest'opera viscerale, intrisa di amicizia e fedeltà, promesse e tradimenti, rimpiazzo continuo tra adesione farisaica e dottrinaria alla lettera e riscatto miracoloso della grazia (e della Grazia). Il mercante di Venezia è un dramma di straordinaria modernità, che forse conferma l'immagine un po' oleografica, discutibilissima, di uno Shakespeare "romantico", ma in effetti poche opere del bardo riescono a rendere in modo tanto efficace la tensione dialettica di vite, di spiriti che si incontrano. Mi chiedo in quale altra forma - che non sia il teatro, e solo dopo il cinema - si sarebbe potuto esprimere l'impatto di esistenze, interessi, sentimenti tanto diversi.
Antonio, che offre perfino il suo corpo all'amico Bassanio per consentirgli di esaudire il suo sogno d'amore con la bella Porzia, dovrà pagare con la sua carne in tribunale. Per conto suo Shylock insiste sulla parola data, sulla fedeltà al testo del contratto, e finisce con il pagare per la sua intransigenza e con l'avere giustizia fino in fondo, molto più di quella che avrebbe chiesto e voluto in un finale che non manca mai di emozionare per la sua agudeza. Mentre Bassanio assiste senza parole al gioco di rimbalzi di questo processo infinito intentato all'amicizia disinteressata nel nome di un pegno cruento da riscuotere, il giovane infrange a sua volta una parola data per riscattare l'inatteso lieto fine. Il tutto viene amplificato, diffratto, con il raddoppio della coppia di innamorati, con Gratiano (Chris Marshall) e Nerissa (Heather Goldenhersh), e con il moltiplicarsi di inganni, prove e inattesi riconoscimenti della realtà sotto la lineare calligrafia delle apparenze. Su questa continua rottura e ricomposizione di equilibri, sul formarsi e dissolversi di continue ambiguità (anche sbrigliatamente sessuali), si basa la grandezza di un testo straordinario: forse non "neoclassico" come certe commedie (penso, in particolare, a Le allegre comari di Windsor o Molto rumore per nulla) che la prospettiva storica ci rende più vicine, ma senz'altro elettrico, emozionante, colmo di naturale empatia.
Michael Radford riesce a restituire il miracolo di questo dramma con una cura particolare di regia e sceneggiatura. Il suo Mercante di Venezia non è film di dettagli viscontiani, ma una ricerca di atmosfere d'insieme, suggestioni accennate e sicure su un set (il Veneto e il Lussemburgo) che ricrea il mondo fatato di una città modernissima e insieme orientale nei suoi fasti e nelle sue contraddizioni. Anche i primi piani, angolati in modo molto originale, e le sfocature sullo sfondo rivelano il carattere dei personaggi: scongiurando la sequenza di fotoritratti, Radford procede per pennellate dinamiche, come se i modelli sfuggissero a qualsiasi tentativo di essere cristallizzati in una tela (tensione che ha il suo equivalente nella prova a cui Portia sottopone i suoi corteggiatori). Il mercante di Venezia è una storia di quadri che si animano, talvolta anche con spettrale tragicità: su tutti, la maschera composta che Al Pacino crea di Shylock è forse insuperabile nel cinema moderno (e, per le mie esperienze, anche a teatro) e contribuisce a restituire un'opera alla sua grandezza. Senza essere banalmente didascalico, con il suo rispetto pedissequo del testo originale, Il mercante di Venezia di Michael Radford è l'originale dono agli spettatori di un'opera di Shakespeare, al cinema.
by Roberto Oddo