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Il mercato di Otavalo e' uno dei piu' grandi dell'Ecuador. Piu' che un mercato e' un insieme di mercati diversi, per persone diverse. Alle 7 e 30 di mattina, sulla strada principale, i venditori di artigianato stanno allestendo i loro banchi. C'e' poca gente in giro, ma se si gira l'angolo verso il mercato della frutta e verdura, si fa fatica a camminare tra donne, uomini, banane, papaye, patate e uva. Piu' avanti c'e' il mercato delle scarpe taroccate, sandali di plastica e "ropa americana", tutta tassativamente made in China. Il terzo mercato e' quello piu' informale. Niente banchi, solo persone sedute in terra che vendono una sola merce: fiammiferi, piselli, cinture, pentole, spugne. Li' a fianco c'e' uno stadio con una pista di atletica di sabbia in cui atleti locali si stanno riscaldando. Ad un segnale dell'arbitro, che abbassa il suo cappello da baseball, tre velocisti (di cui uno un po' troppo sovrappeso) scattano con in mano il testimone per la staffetta piu' polverosa e meno seguita del secolo (oltre a me ci sono due altri spettatori che sembrano li' per caso). Vince la squadra piu' giovane (e piu' magra).
Il mercato piu' importante tra i mercati del sabato e' quello delle bestie. In uno spiazzo erboso che a fine giornata e' completamente ricoperto di escrementi, c'e' una massa umana compatta e colorata. Per raggiungerla bisogna attraversare la Panamericana, facendosi sfiorare da TIR che non rallentano. All'inizio del mercato si vendono polli, tacchini, oche, cani e porcellini d'India (che qui sono il piatto tipico). Poi si passa ai maiali, tenuti al guinzaglio dai padroni come fossero cani. Ognuno vende un solo maiale, o al massimo due. Un piccolo di maiale grida come se lo stessero ammazzando quando viene portato via al guinzaglio dal nuovo acquirente, mentre poco piu' avanti un contadino che ha appena comprato un vitello cerca di farlo salire su un piccolo camion a forza di frustate e tirate di corda.
Su un piccolo promontorio una decina di banchetti servono colazioni per stomaci e cuori forti. Il piatto piu' venduto e' la "fritada", un misto di carne di maiale fritta con patate, mais e altri ingredienti non identificati ma di difficile digestione. Si dice che chi lo mangia per la prima volta, o muore sul colpo, o vive in eterno (non tento la fortuna).
Oltre a contadini con facce da indios, spuntano come funghi turisti che portano lo zaino stretto contro la pancia come se fossero nella metropolitana di New York e muniti di macchine fotografiche con obiettivi che sembrano fucili da assalto, in cerca di visi bruciati dal sole, grugniti d'animale e bambini che dormono sul dorso della madre. Finita la sessione di fotoreporting, si spostano tutti verso il mercato dell'artigianato, quello che inizia piu' tardi ma che dura piu' a lungo. Americani con cappelli da cowboy, francesi che hanno appena comprato un panama bianco, fricchettoni rasta con berretti di lana con il ponpon. Nessuno sembra voler rimanere col capo scoperto.
A fine giornata anche la Plaza de los Ponchos, il centro dello shopping artigianale, rimane vuota di gente e piena di cartoni e banchi semismontati. Su un lato della piazza ci sono dei baracchini che vendono cibo. Nessun turista in giro, solo indios che mangiano qualcosa prima di andare a letto. Assieme a Claire, la piu' parigina tra le parigine, prendiamo il toro per le corna ordinando un cuero (letteralmente "cuoio", un piatto di riso, patate e cotenna di maiale bollita). Il mio vicino di tavolo sembra stupito che il mio stomaco gringo resista all'urto. Vedremo domani.
Ad Otavalo c'e' un gioiellino. Si chiama Ocho y Medio, in onore del film di Fellini, ed e' un cinema che proietta film sudamericani per un pubblico cosi' selezionato da essere inesistente. A vedere "El baño del Papa" - un film uruguayo che riesce a mischiare realismo, ironia e denuncia con uno stile leggero e antiretorico - siamo in tre. Qualcuno in piu' appare il giorno dopo a vedere "Al sur de la frontera", il documentario di Oliver Stone vaneggiante ed esteticamente atroce sulla contrapposizione tra USA e America Latina, che mischia analisi semplicistiche a scene al limite del ridicolo. Bocciato.
Marcellooooo