Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Come nella poesia del roscio il sabato prelude al giorno festivo e simboleggia l’attesa di qualcosa di più grato e favorevole.
Ecco, nel nostro caso, non mi viene in mente cosa.
Cioè magari sabato era ieri, o forse anche oggi, ma la domenica sarà così desolatamente malinconica e sterile che c’è proprio un cazzo da festeggiare il sabato.
Sia chiaro, sarebbe inumano e androide non provare un senso di temporaneo sollievo nel non riconoscerlo più come presidente del nostro consiglio perduto, ma “il ti presento un vecchio amico mio in ricordo di me” lo sappiamo tutti che è una gran cazzata, vero?
Nemmeno il tempo dell’ultimo negroni che già dobbiamo asciugarci la bava, perché alla porta non troveremo il caro vecchio George con altre casse di Martini ma papà Fmi e mamma Bce pronti a farci un mazzo così per aver bevuto di marca.
E i guasti della sbornia saranno niente in confronto agli attacchi speculativi, all’abbassamento dei salari, allo spread, ai licenziamenti coatti, alle drastiche perdite di potere d’acquisto, e a tutto quanto possa farci sentire orgogliosi di non aver abbandonato questo infame paese in avaria.
Quindi occorre festeggiare con tutta la sobrietà e la pacatezza che ci è propria.
Che con un paio di negroni siamo già belli che ciucchi.
E rischiamo di finire a letto con un altro cesso.
Per altri 17 lunghi anni.