
Un esempio di arredo aostano.
Se c’è una cosa che non manca ad Aosta sono i cartelli. Ne abbiamo di tutti i gusti: da quelli stradali rigorosamente in due lingue e di svariati colori a quelli che dirigono verso questo ristorante e quell’albergo; poi ci sono quelli che offrono ai turisti indicazioni sbagliate e che verranno presto sostituiti o affiancati da quelli che ci auguriamo siano corretti. A breve altri ancora si aggiungeranno per raccontarci le sculture che decorano il capoluogo. Perlopiù opere di scarso valore artistico, se escludiamo quelle a firma di personalità come Arturo Stagliano (sant’Anselmo), Antonio Tortona (Vittorio Emanuele II), Albertoni (Laurent Cerise), Pietro Canonica (Soldato valdostano) e Stephen Cox (Tribute to Saint Anselm), che ci regaleranno un nuovo labirinto di targhe e targhette. Se il pubblico è innamorato della cartellonistica, il privato non manca di arricchire l’offerta con tabelle pubblicitarie che invadono le strade, i marciapiedi e i muri. L’Aosta Romana e medievale è diventata un bazar. Un caotico intruglio di scritte, colori, oggetti, immagini. E chi più ne ha, più ne metta.
