di Lucio Causo
Cronaca e storia sulla conquista piemontese
del Regno delle Due Sicilie
Nei commenti de Il Giornale Officiale di Napoli dell’8 gennaio 1861 si legge che
“nell’ordinare lo Stato, impedendo che le forze della nazione si addormentino, è necessario tener desto lo spirito pubblico per condurre a buon fine l’opera dell’Unità d’Italia”.
Lo stesso foglio del 26 marzo 1861 dà notizia della resa di Messina e dei festeggiamenti resi con viva gioia al primo re d’Italia. In quei giorni correva voce che a Napoli tutto sarebbe rimasto come prima, a eccezione di un luogotenente piemontese al posto dei borboni.
Sul giornale Il Pungolo del 24 marzo 1861 si legge che
“un gabinetto che si risolve in una sola individualità, che domina, soggioga, assorbe tutte le altre, non è che l’incarnazione di una prevalenza tanto più forte, quanto si nasconde sotto i veli trasparenti della formalità rappresentativa”.
Altri commenti ed analisi sulla situazione del momento possono essere rintracciati sul giornale dell’epoca Il Tribuno della Plebe.
Nella sua Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Giacinto De Sivo scrive:
“A 18 febbraio (del 1861) si inaugurava il parlamento italico-illegale perché i deputati, dopo un plebiscito falso, si erano eletti e raccolti mentre il re legittimo combatteva con le truppe nazionali e si costituivano quando ancora la bandiera della patria sventolava su Messina e Civitella degli Abruzzi”.
Enrico Cenni nel 1861 pubblica le sue Considerazioni per rivendicare i diritti dei napoletani e nell’anno successivo consegna alle stampe la sua ultima opera: Delle presenti condizioni d’Italia e del suo riordinamento civile per rilevare che la vita dei napoletani non poteva affidarsi ad
“ancora più salda, ossia nelle mani di tanto principe… in tal modo il popolo napoletano si trovò rassicurato delle tante ciarle che si smaltirono… ma nei governi costituzionali il principe non è solo a reggere… e Cavour, che nulla direttamente aveva promesso, rimase libero delle sue azioni”.
Il Meridione d’Italia fu piemontizzato in maniera diversa da quanto aveva affermato Settembrini prima che Garibaldi passasse lo Stretto: si era data assicurazione che Napoli sarebbe rimasta capitale del napoletano come Firenze sarebbe rimasta capitale della Toscana.
Il 20 gennaio 1860, Cavour riprese il potere. Il suo governo era costituito da un ministero senza portafoglio e da otto ministeri, tre dei quali ebbero ad interim lo stesso Cavour. Soltanto tre degli otto ministeri vennero affidati ad uomini del Meridione: Vincenzo Niutta di Caulonia (Reggio Calabria), Giuseppe Natoli di Messina (che riformerà la scuola) e Francesco De Sanctis di Marra Irpina (Avellino), critico letterario, già esule a Zurigo. Il Niutta era stato presidente della Suprema Corte delegata a controllare le votazioni per il plebiscito del 21 ottobre 1860.
Il 18 febbraio 1861, Francesco II di Borbone e la sua giovane consorte, Sofia di Baviera, ricevevano a Roma, dove erano giunti dopo l’assedio di Gaeta, i cardinali romani guidati da S.E. Barberini, i quali invitarono i giovani sovrani a rimanere nell’Urbe per molto tempo. Il deposto re di Napoli rispose che “… alla peggio, sarebbero partiti insieme”.
Il 6 settembre 1860 Francesco II aveva inviato ai sovrani europei la sua protesta per l’usurpazione da parte dei piemontesi del proprio regno. Simile protesta era partita anche dal Vaticano per l’occupazione dei territori pontifici da parte del re di Sardegna.
Napoleone III aveva accolto favorevolmente la nota di protesta del re di Napoli inviando una flotta per impedire il blocco dalla parte del mare, ma i piemontesi e gli inglesi gli intimarono di tenere le navi lontane dalle acque di Gaeta. La città fu così costretta alla resa (13 febbraio 1861).
Ai reali napoletani non rimase che abbandonare le proprie terre insieme agli aristocratici rimasti fedeli, ai militari e a numerosi personaggi che, scegliendo una pericolosa avventura, si erano uniti ai belgi, austriaci, sassoni ed anche ad alcuni americani accorsi in aiuto delle truppe borboniche.