di don Curzio Nitoglia
Eclettismo o probabilismo etico ciceroniano
Cicerone è il massimo rappresentante dell’eclettismo romano, eclettismo più morale (e moderatamente “scetticheggiante”*) che dogmatico.
Più che un filosofo speculativo o morale in senso stretto Cicerone è un retore, un avvocato, un oratore, un uomo di cultura. Giovanni Reale definisce il pensiero di Cicerone “il più bel paradigma della più povera delle filosofie, la più antispeculativa delle speculazioni” (Storia della filosofia greca e romana, Milano, Bompiani, 2004, vol. 6°, p. 96).
Cicerone ha introdotto a Roma la filosofia greca
Tuttavia non si può negare che Cicerone è stato il ponte principale attraverso il quale la filosofia greca è entrata a Roma e nell’Europa intera.
La sua opera più importante dal punto di vista filosofico è il De Officiis, che tuttavia viene collocata “a valle della filosofia” (G. Reale, cit., p. 96).
Antologia filosofica greca
Cicerone ha letto quasi tutti i filosofi greci (compresi Platone e Aristotele) ed ha ripreso molti concetti da loro, tranne che dagli epicurei con i quali ha polemizzato aspramente. Egli ha operato una fusione eclettica delle varie correnti greche, lette in funzione pratica conformemente allo spirito romano. Inoltre si parla di “scetticismo”* ciceroniano, in senso molto largo e moderato, poiché la diversità di opinioni dei filosofi ha spinto Cicerone a negare la possibilità della certezza nella dottrina filosofica e ad accontentarsi della sola probabilità. Quindi Cicerone non afferma la impossibilità di conoscere la realtà, come insegna, invece, lo scetticismo filosofico in senso stretto.
Cicerone riprende da Filone di Larissa il probabilismo eclettico secondo cui su ogni questione bisogna valutare il pro e il contro e scegliere la soluzione più probabile o verosimile.
Il pro e il contro di ogni problema
Quindi leggendo Cicerone 1°) si conosce una vasta antologia della filosofia greca classica; 2°) si ha una valutazione seria della consistenza delle tesi opposte dei filosofi greci; 3°) si ha quindi la possibilità di scegliere la soluzione più conveniente o probabile; 4°) il tutto scritto in un ottimo latino e condito da una ricca retorica (e questi punti sono il vantaggio del ciceronismo).
Cicerone non è uno scettico*, come abbiamo visto. Quindi il confronto delle tesi opposte non porta alla sospensione del giudizio e al relativismo, ma all’adesione dell’intelletto alla tesi probabile o verosimile e alla pratica dell’esercizio retorico.
Tuttavia Cicerone non risolve le difficoltà in base alla filosofia teoretica (e questo è il suo limite). Egli dà molto peso al dissenso dei vari filosofi circa la soluzione dei problemi posti e ciò che lo porta ad aderire ad una certa tesi è il consenso largo, che non esita a rendere criterio di probabilità. Il criterio della verità non è la corrispondenza del giudizio alla realtà, ma il numero maggiore delle autorità filosofiche che hanno aderito ad una tesi. Siccome il dissenso non rende possibile la certezza, almeno il maggiore e più ampio consenso rende possibile la probabilità. Eclettismo e probabilismo (più che “scetticismo”*) sono intimamente connessi in Cicerone.
Il fine della filosofia per Cicerone è cogliere lo scopo dell’uomo, che è il sommo Bene, ma per poter far ciò occorre stabilire il criterio della verità.
Il valore dell’esperienza sensibile
In primo luogo Cicerone si basa sulla testimonianza dei sensi, i quali, però, non ci danno la certezza ma solo la probabilità. Ciò che appare evidente ai sensi, ossia l’esperienza sensibile, è un primo criterio di verità e chi nega questa evidenza sovverte la possibilità razionale della vita umana. In secondo luogo il consenso universale o maggiormente esteso degli uomini è criterio di verità.
Conformemente al carattere pratico morale del romano antico Cicerone mostra poco interesse per i problemi ontologici, fisici e cosmologici. Tuttavia il problema di Dio, non studiato metafisicamente ma eticamente, occupa grande spazio nel sistema ciceroniano. Infatti per quanto riguarda la metafisica Cicerone si avvicina di molto allo scetticismo in senso proprio perché egli insegna che “sulla natura delle cose è molto più facile dire ciò che non è la verità di ciò che è”.
Il problema di Dio
Qui Cicerone dà il meglio di sé. L’esistenza di Dio è indubitabile. Infatti il consenso di tutti i popoli sull’esistenza di una divinità è la prova più concreta e probabilissima di essa.
Anche la Provvidenza è indubitabile. Infatti le cose esterne mostrano di essere state finalizzate in funzione dell’uomo e la composizione del corpo umano dimostra la sua organizzazione finalistica o provvidenziale e non casualistica o “fatale”. “Se si gettano le lettere dell’alfabeto in aria a caso esse non produrranno mai gli Annali di Ennio”.
Per quanto riguarda la natura di Dio Cicerone è meno sicuro. Tuttavia egli crede all’unità di Dio e rigetta il politeismo e parla di Dio come di “uno Spirito indipendente e libero (“mens soluta et libera”), privo di ogni elemento corruttibile”. Tuttavia, data la mancanza di metafisica, Cicerone non ha il concetto di soprasensibile e dunque si rifà allo stoicismo per attribuire a Dio una materia spiritualizzata tipo il fuoco o l’aria.
L’anima umana
Cicerone non nutre dubbi sull’immortalità dell’anima poiché tutti si preoccupano di ciò che sarà dopo la propria morte. Inoltre l’anima è il punto di congiunzione tra l’uomo e Dio, come insegnava Platone. Quindi essa è immortale.
Naturalmente anche quanto alla natura dell’anima troviamo delle incertezze in Cicerone proprio come per il problema di Dio. La mancanza metafisica del concetto di ultrasensibile o immateriale lo porta ad assegnare all’anima umana una natura ignea o eterea.
La morale ciceroniana e l’uomo d’oggi
La morale ciceroniana la troviamo nel De officiis e nel De finibus honorum et malorum.
In Cicerone è regina la attività pratica individuale e sociale. Egli respinge totalmente la morale epicurea e prende ecletticamente il meglio da quelle stoiche, accademiche e peripatetiche. Tra tutte predilige quella stoica.
Cicerone ci invita ad agire secondo la nostra natura che è fatta di anima e di corpo. Quindi bisogna vivere da animale razionale e libero, che non può fare a meno del suo corpo. Egli, perciò, tempera la morale stoica totalmente a-passionale e a-corporea e rivendica i diritti del corpo umano, subordinato a quelli dell’anima, ma non inesistente. Infatti senza il corpo la ragione non potrebbe agire. In ciò Cicerone si schiera dalla parte degli aristotelici, ma poi torna agli stoici nel ricondurre la vita virtuosa soprattutto alla intellezione. Stoicamente egli ritiene che l’uomo sia moralmente e virtuosamente autosufficiente e bastevole per la vita felice. Infine il vero saggio deve essere totalmente libero dalle passioni e completamente imperturbabile.
Per quanto riguarda la natura della libertà egli è ancora molto distante dalle conquiste di Seneca.
Il suo contributo maggiore dato alla filosofia è quello di averla fatta penetrare in ambiente romano e di averla divulgata in maniera molto semplice e a-metafisica perché “nessun greco sarebbe stato capace di diffondere, come ha fatto Cicerone, il pensiero greco per il mondo” (C. Marchesi, Storia della filosofia latina, Milano, 1971, VII ed., p. 317).
Conclusione
Il messaggio ciceroniano per l’uomo contemporaneo è il seguente: 1°) la realtà è realmente conoscibile da parte dell’uomo e lo scetticismo sarebbe la rovina della vita umana; 2°) l’esperienza sensibile, ossia ciò che viene constatato dai nostri sensi, non può ingannarci ed è fonte di verità; 3°) l’esistenza di Dio è indubitabile perché il consenso di tutti i popoli sull’esistenza di una divinità è la prova più concreta di essa; 4°) anche la Provvidenza di Dio è indubitabile perché le cose esterne mostrano di essere state finalizzate in funzione dell’uomo; 5°) non si può nutrire dubbi sull’immortalità dell’anima poiché tutti si preoccupano di ciò che sarà dopo la propria morte; 6°) quindi bisogna vivere da animale razionale e libero, che non può fare a meno dell’anima ed anche del proprio corpo.
Certamente il messaggio ciceroniano sfigura davanti a quello che ci dà Seneca. Tuttavia è sempre utile all’uomo d’oggi, che sembrerebbe, nella misura in cui si fa nichilista, segnare la fine della catena dell’homo sapiens ed essere il principio di un’involuzione contro-darwiniana dall’uomo all’umanoide. Quindi di fronte a tale sfacelo di questi tristissimi tempi si può ricorrere, con profitto, agli insegnamenti pratico-pratici del grande avvocato di Arpino.