Negli ultimi anni mi ero abituato a pensare alla Francia come un paese di destra e alla Spagna come uno di sinistra. All’Italia invece non mi sono mai abituato. Poi penso: e la Francia di Mitterand? E la Spagna di Aznar? Insomma, un paese è di destra o di sinistra per un periodo limitato di tempo, non lo è in senso assoluto. Può esserlo come tendenza generale, ma poi c’è la democrazia, quella bilancia che oscilla da una parte e dall’altra, che garantisce la continuità in nome dell’alternanza. Cosa sia l’Italia invece non è mai stato chiaro a nessuno, neppure negli ultimi vent’anni, quando nelle urne e nella testa della gente ha vinto un magnate piccolo fascista. L’Italia non è di sinistra, questo è poco ma sicuro. Se si scorrono i risultati elettorali dal dopoguerra a oggi, si scopre che i voti andati alla sinistra si sono sempre aggirati intorno a un terzo del totale dell’elettorato. Quando la sinistra è andata al governo lo ha fatto con l’appoggio di una componente cattolico-moderata che per una volta ha deciso di voler tentare la strada del riformismo. Ma se la sinistra rappresenta geneticamente un terzo di questo paese, i restanti due terzi non sono di destra. Di fatto non è mai esistita una destra in Italia. C’è stata piuttosto una successione di rappresentati politici che hanno incarnato di volta in volta un populismo servile e profittatore, uomini capaci di interpretare un sistema sociale profondamente corporativo e feudale che si riconosce solo nelle logiche localistiche, nel benificium dato in concessione dal dominus, nel vassallaggio più meschino. È questa la ragione del successo pluridecennale di un partito come la Democrazia Cristiana, che pur avendo tutte le caratteristiche di un partito di destra si è sempre definito di centro. Insomma, gli italiani vanno con tutti e non stanno con nessuno. Che è pur sempre una cosa che per farla ci vuole mestiere.
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