“Allora dimmi, ragazzo del futuro, chi è il Presidente degli Stati Uniti nel 1985?”
“Ronald Reagan.”
“Ronald Reagan? L’attore? Eh! E il vicepresidente chi è? Jerry Lewis? Suppongo che Marilyn Monroe sia la First Lady e John Wayne il Ministro della Guerra!”
Ritorno al futuro di Robert Zemeckis
Il genere umano si può dividere in due categorie: quella degli apocalittici e quella degli integrati. Gli integrati sono coloro che riescono ad adeguarsi al presente e a tenere il passo con il progresso e la tecnologia; gli apocalittici invece, sono terrorizzati dal progresso, credono fortemente nel disastro causato dall’avvento delle macchine e nell’autodistruzione dell’uomo.
Poi ci sono i nostalgici, che non si limitano semplicemente ad esprimere concetti anacronistici facendo continuamente riferimento a “quanto si stava meglio quando si stava peggio”, o cose del genere; i nostalgici sono sognatori incalliti in grado di far rivivere il passato attraverso attività che si concretizzano grazie alla loro volontà. Sono fabbricatori di emozioni e un po’ stregoni: resuscitano umori, voglia di vivere e sorrisi. Ma anche gusto: ho già manifestato in maniera abbastanza esaustiva il mio scetticismo nei confronti della capacità dei miei contemporanei di avere gusto e di saperlo trovare, il gusto. Bene. Lunga vita al revival quindi, al retrò, al vintage, alla riesumazione di tutto ciò che di bello abbiamo avuto in due millenni di storia. Non solo gli anni ’60 e ’70, decenni da copertina di qualsiasi evento vintage, in color seppia trasudanti puzzo di muffa e naftalina; possiamo solo vantare secoli e secoli di eleganza e raffinatezza, nella moda come nella musica; non abbiamo altro che l’imbarazzo della scelta (saltando possibilmente gli anni ’80 che per quanto io possa avere bei ricordi legati a Sandy Marton e Claudio Cecchetto vi prego, stendiamo un velo di pietà e concentriamoci sul resto archiviandoli silenziosamente come il Medioevo della moda e del buon gusto). A chi affidare l’ingrato compito quindi di salvataggio dello stile? Agli artisti, ça va sans dire. Registi, stilisti, cantanti, musicisti…e ballerini. Per esempio: sabato 20 aprile alla Taverna Verde di Forlì, (sala da ballo senza pretese con una parentesi passata da jazz club che ovviamente grazie a tutti gli intenditori di musica che abbiamo nel nostro Paese è sopravvissuto sì è no quanto?) il Nagasaki Swing Team, compagnia di ballo formata da undici ballerini di varia provenienza geografica, si è esibito nel musical di loro ideazione “The Club”, una storia di ricordi, come l’hanno definita loro, di donne ma soprattutto di swing. Gli ingredienti per far sì che lo spettacolo ti tenga attaccato alla sedia per le due ore circa della durata, ci sono tutti: il flash back, che da un presente squallido e insensibile fatto di ruspe e costruttori di centri commerciali ti riporta alla fine degli anni ’20, 1928 per la precisione, un anno prima della Grande Depressione, in uno dei locali più movimentati e scatenati, pieno di donne di una bellezza indescrivibile (il flash back ormai, si sa, è ben collaudato e funziona sempre, esempi notevoli ce lo possono confermare). Qui entra in scena il secondo ingrediente (che se non fosse per le donne e per la loro presenza le discoteche in Riviera avrebbero chiuso già da trent’anni almeno): sei ballerine che passano dal canto al ballo, dallo swing al charleston al burlesque al tip tap facendo perdere la testa agli uomini (e quando mai…) che si lasciano immediatamente rapire dalla loro energia e dalla loro voglia di divertirsi e ballare. Terzo ingrediente quindi: lo swing. Senza swing non si va da nessuna parte, l’ho già detto altre volte: lo swing è tutto, non è solo il ballo; è come ti muovi, come senti la musica, come ridi, come cammini, come bevi, come piangi, come soffri, come sogni. Puoi avere swing senza essere un ballerino o un cantante ma non puoi cantare o ballare se non hai swing (a molti deve essere sfuggito questo concetto e per una strana coincidenza sembrano tutti destinati ad approdare sul palco dell’Ariston a febbraio, più o meno). Beh, non è certo il caso dei ragazzi del Nagasaki: di swing ce n’era e anche molto, nelle coreografie travolgenti, nella scelta della musica, nei costumi, nel sapersi muovere e destreggiare anche nella recitazione, riuscendo a trasmettere un messaggio chiaro nonostante non sia uscita una parola dalle loro labbra: la gioia, nel far rivivere un’epoca in cui la voglia di vivere e di divertirsi di certo non mancava. Mi ha colpito l’eleganza e il portamento dei ballerini, come anche la sensualità sinuosa ma anche scherzosa delle ballerine, senza mai essere volgare. Credo che per tutti, non solo per me, sia stato difficile rimanere seduti e resistere alla tentazione di farsi coinvolgere in quel mondo affascinante, che il Nagasaki swing Team, per una sera, ci ha regalato. Una storia di “Vorrei ma non posso”? Non mi è sembrato, anzi, ho visto e ho imparato più che altro che volere, e in questo caso volere che un sogno si concretizzi, è potere. Ora capisco i nostalgici, delusi e amareggiati dal progresso: dopo tanta bellezza è dura, me ne rendo conto.E capisco anche Gene Kelly, sorridente e felice mentre canta e balla sotto la pioggia: mi sono sempre chiesta che cazzo avessero da ridere così tanto lui, Fred Astaire e tutti gli altri ballerini di quella generazione. A loro ormai, purtroppo, non posso più domandarlo. Mi limiterò a chiederlo a voi, artisti pieni di swing. Per il momento comunque grazie, per avere buon gusto.