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Detto questo, l'aspirante scrittore dovrebbe leggere e apprendere l'esempio da Henry James su cosa voglia dire praticamente progettare e portare a termine una buona narrativa. Piero Pignata ha operato questa scelta per la Ibis di Como-Pavia nel 2006, ritagliando quello che la vulgata critica individua come un preciso filone nella prosa dello scrittore americano: il ruolo dell'artista - e di conseguenza dell'arte - nella società. James, che aveva sofferto sconfortanti insuccessi (in specie nella produzione teatrale), sapeva benissimo di cosa parlava quando affrontava un tema così delicato.
Ne La lezione del maestro, la prima storia di questa antologia (forse anche la più celebre), si affronta il confronto tra uno scrittore, Paul Overt, con un mito adorato del suo tempo, Henry St. George. L'incontro tra maestro e allievo, in seguito a un viaggio di quest'ultimo, viene triangolato con una delicata e risolutamente jamesianissima figura femminile, Miss Fancourt. La donna, splendida musa, innamorata della letteratura e dei letterati come della vita, più che ispirare sembra tuttavia tarpare le ali di un uomo che ormai sembra aver perso carisma e presa sul suo pubblico. La lezione del maestro, splendido romanzo breve di conversazione e di acume introspettivo, entra nel vivo della questione estetica del rapporto tra vita e letteratura, proponendo un'incompatibilità dell'arte con la mediocrità, più che con la vita. Lo spirito borghese sembra corrodere, rosicchiare, anzi: divorare, l'istinto creativo di St. George e mette in dubbio il ruolo della Natura (proprio con la N maiuscola), a vantaggio del suo allievo, ma in ciò il giovane non trova nessun sollievo perché perde il suo maestro.
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La prossima volta, il racconto a me più caro di questo libro, è la storia di un ineluttabile precipizio commerciale dell'arte, quanto più essa si fa vera, ossia acuta e luminosa. Ray Limbert, ritratto magistralmente da un io narrante partecipe e critico, è un martire dei suoi propositi e del suo genio. In una catena di insuccessi, licenziamenti e ostinazione, Limbert continua a rimandare alla "prossima volta" la messa in atto di un piano sicuro per ottenere infine il consenso del pubblico, nonostante i rifiuti di direttori di giornali ed editori. Il ricchissimo ritratto dello scrittore viene sintetizzato in una sentenza, una di quelle che Henry James alterna alle lunghe e preziose disamine estetiche: Non era quel che si dice una persona facile, ma grazie forse a un certo qual metodo nella sua follia, era invece una persona piena di certezze. Eppure, nessuna di queste certezze poteva competere con l'esperienza di addetti alla pubblicazione che rifiutano l'autorialità forte in favore di pezzi grossolani, che invece favoriscono le vendite. Sembra che all'autore, profondo speleologo dell'uomo e della sua storia, sia preclusa la più rudimentale dimestichezza con il pubblico per il quale scrive. La parabola di Limbert sprofonda, pagina dopo pagina, in un martirio ineluttabile autolesionismo, fino a un epilogo di tragica e straniante bellezza.
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Non c'è bisogno di malignare sulla trasparenza di certi dilemmi artistici - ancora più acuti nelle lettere (specialmente quelle raccolte dalla Marsilio con il titolo Amato ragazzo) - e sulla ricezione dell'opera jamesiana in America e in Europa: Henry James è a dir poco spietato con sé stesso e con il suo successo o insuccesso di pubblico. Il mestiere di scrivere è un'antologia intelligente che - soprattutto se affiancato al capolavoro del filone, Il carteggio Aspern - rende conto di problemi scottanti nell'editoria di massa. I racconti di questo libro possono essere appaiati in due coppie "a rima alterna" per le quali le situazioni si ribaltano: da un lato due scrittori (La lezione del maestro e La prossima volta), dall'altro il confronto di un critico con un autore letterario (non a caso intitolati entrambi col nome degli scrittori oggetto dei racconti: Greville Fane e John Delavoy). Nella prima diade, l'allievo sembra sempre assistere al tracollo del suo maestro, ma in un caso per via di una scelta in difesa, per un'ispirazione che si prosciuga, nel secondo racconto per un accecante e inarrestabile proliferazione del genio. Il secondo dittico vede il critico in ambasce rispetto al suo compito, in Greville Fane per mancata risonanza letteraria nel suo oggetto, in John Delavoy per un inspiegabile e coriaceo rifiuto preventivo della sua personale e lucida ricognizione critica, però in rapporto al pubblico.
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