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Il metamondo di alice zanin

Creato il 19 ottobre 2014 da Manuelgaruffi

Alice Zanin – Circus Circes – Galleria Biancamaria Rizzi & Matthias Ritter, Milano – Ottobre 2014

 

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Alice Zanin – Circus Circes – Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano – Ph. © Marcello Balbi


 
Innanzitutto il titolo, Circus Circes: la Circe è una figura mitologica, la maga dell’isola sperduta di Eea che nel poema epico greco Odissea trasformava gli uomini in maiali, leoni e cani, tenendoli prigionieri nella verdeggiante isola cui avevano fatto incautamente approdo.

Inversione uomo→animale che, nella galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, si rovescia -inversione dell’inversione!- nel suo opposto: gli animali di Alice Zanin fanno il verso agli animali non umani. Mentre il circo, ladies and gentlemen, gaia prigione moderna delle creature con coda e ali che han da soddisfare le crasse risate dei bipedi, diventa qui il contesto fatiscente dello spettacolo: una vera e propria realizzazione sito specifica, cioè pensata e fatta per questo spazio espositivo, una volta spazio industriale.

Le pareti diroccate della galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter si armonizzano coi paraphernalia -un paio di eleganti e logore scarpe da signora, vecchie palline colorate recuperate al mercatino delle pulci, sedie da giardino in ferro consumate dal tempo, un vecchio paralume, valigie consunte e una bellissima bicicletta d’epoca- che accompagnano le sculture in cartapesta di Circus Circes: levrieri persiani, uccelli del paradiso, zebre, giraffe, topini gerboa e ricci africani, gru coronate e manguste, collocati come tableaux vivants, vere e proprie dramatis personae, in pose inusitate e umane troppo umane.

Perché questo è il retroterra concettuale della produzione artistica di Alice Zanin: la messa in scena di un metamondo, cioè di un modo formalmente e materialmente definito, per mezzo del quale riferirsi a un altro mondo.

Tutte le opere di Circus Circes conducono a una dimensione altra, per cui la bicicletta d’epoca con gli uccelli del paradiso (per l’esattezza Parotia lawesii) dell’installazione When I’m with you it’s paradise, ad esempio, non è solo ciò che si vede, cioè alcuni uccelli neri attorno a una bella bicicletta d’antan su cui è appoggiato un nido con delle uova azzurre, ma rappresenta il sentimento dell’amore (gli uccelli del paradiso fanno la danza di corteggiamento, le uova sono custodite all’interno di un nido e la stessa bicicletta può rappresentare il soggetto/soggetto del trasporto amoroso).

E’ il rapporto, proprio delle arti visuali, raffigurare/rappresentare: dare forma sensibile a un pensiero per mezzo di elementi che diventano simbolici. Come nel poema omerico, la maga Alice Zanin trasfigura gli animali in uomini attraverso gli incanti delle forme simboliche: ecco che allora i tre levrieri persiani (Caeruleus, Cineraceus e Inauratus) seduti su vecchie e consunte sedie in ferro interagiscono con oggetti d’uso umano -tre palline colorate, un paio di scarpe, una trombetta; da notare la coordinazione fra i colori degli oggetti e i rispettivi referenti, il ceruleo delle palline, il grigio delle scarpe e l’oro della trombetta-, in una situazione che a dispetto dell’apparenza non è un gioco, non è un divertissement: i tre quadrupedi non stanno facendo-finta-di, perché la messinscena di Circus Circes rappresenta una condizione estetico/esistenziale che potremmo piuttosto circoscrivere al dominio dell’effimero.

Gli oggetti dell’uomo, che naturalmente i tre cani non usano per lo scopo per cui sono stati realizzati, diventano qui corbelleria, simbolo di una certa fascinazione per la decadence: incanto per il bel declino che investe di sé tutta la mostra di Alice Zanin, rappresentazione sentimentale che riporta a vita nuova le vestigia del tempo, contestualizzandole in una situazione paradossale. Un po’ come i divani, le poltrone, gli armadi, i tavoli e le sedie che Giorgio De Chirico raffigurava in contesti spiazzanti e inusuali, generando un sentimento di spaesamento.

In questa occasione la “pelle” delle sculture è, appunto, liscia: ritagli di giornali, dall’artista accuratamente selezionati per cromie, del tutto privi di parole, che si distendono come epidermide lungo tutta la struttura dei corpi degli animali. Il risultato è un’accentuazione della plasticità di queste sculture: son fatte di carta e ferro, ma al tatto sembrano solide come il marmo.

C’è tutta Alice Zanin in questa mostra (l’attenzione è sempre orientata al corpo, visibile, palpabile, massivo), ma con una novità operativa: se nella precedente produzione il tema principe era la favella (le volumetrie epidermiche della carta che ricopriva le sculture erano affastellate di parole), ora a dominare è l’affabile silenzio dell’interpretazione incompiuta, leggera e vagante: “slittamento” semantico dal mondo lineare degli animali a quello denso di sovrastrutture (Karl Marx docet!) del mondo umano -senza con ciò stesso accordare all’uno o all’altro regno una preferenza d’ordine estetico o morale.
 
Clicca per vedere lo slideshow.
 
Alice Zanin | Circus Circes

Biancamaria Rizzi & Matthias Ritter
via Cadolini 27, Milano
[email protected]
www.galleriabiancamariarizzi.com



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