Il dubbio esposto nel titolo mi è venuto leggendo “Il magico potere del riordino. Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita” di Marie Kondo. Si tratta di un libro che avrete senz’altro visto troneggiare nelle vetrine nelle librerie, o ancor meglio in prossimità delle casse (zona deputata agli “acquisti di impulso”). Che siate più o meno disordinati, la magica promessa di questo titolo è affascinante: riordinare tutta la vostra casa – e la vostra vita- una volta sola e per sempre.
La signora Kondo non fa che ripeterlo: il suo metodo ha una percentuale di successo sicura e una di ricaduta pressoché nulla. I partecipanti ai suoi corsi hanno dato una svolta alle loro vite e non sono più stati vittime dell'”effetto boomerang”.
Ho letto questo libro mossa dal duplice interesse personale e professionale; di magia però ne ho vista ben poca e vi spiego perché.
Dall’ossessione al mestiere della vita
Marie Kondo narra come da sempre sia appassionata di riordino: sin da bambina non faceva che riordinare qualunque spazio le capitasse a tiro, casalingo o scolastico che fosse. Era una gran lettrice di riviste per casalinghe e si manteneva costantemente informata in materia di divisori e contenitori portaoggetti.
Seconda di tre figli, ha trascorso l’infanzia tra il desiderio di autonomia e quello di un riconoscimento da parte dei genitori. La piccola Marie infatti non voleva pesare sulle attenzioni genitoriali a discapito del primogenito e della sorella minore e ambiva ad essere gratificata e apprezzata per ciò che faceva. Verso la fine del libro racconta dei suoi problemi di autostima e delle difficoltà ad affidarsi e fidarsi. Poche righe ma decisamente illuminanti per comprendere la genesi di questa sua passione e di come sia stata totalizzante nel corso della sua vita. Possiamo ridefinirla come ossessione? Credo di sì, se la rileggiamo come comportamento messo in atto per placare l’ansia. Sembra quasi di vederla, piccola piccola, nella sua stanzetta alle prese con gli spazi da ri-ordinare, ri-organizzare, ri-razionalizzare…fino all’ora di cena.
Non giocava mai? Le persone intorno a lei (casa, scuola,…) non hanno mai colto segni di disagio?
Buttare via il superfluo…e anche di più
Il “metodo Konmari” procede per categorie, prescrivendo di buttare via tutto ciò che non trasmette emozioni positive. Su questo, nulla da eccepire: siamo talmente circondati da oggetti da rischiare du esserne sopraffatti.
Le clienti della Kondo riempono decine di sacchi di oggetti che…vengono buttati via. Sui capi di vestiario si dice rapidamente di passarne qualcuno a una persona che sappiamo per certo potrebbe gradirli, ma in generale tutto finisce – indifferenziatamente?- in discarica.
Proprio perché viviamo in un mondo pieno di oggetti, non possiamo a mio avviso prenderci il lusso di buttare via il superfluo senza riciclare il riciclabile. Forse è un implicito che la Kondo non esplicita?
Il metodo prevede di buttare senza rimpianti, pensando che una cosa indispensabile potrà sempre essere ricomprata. Peccato che nel calderone, anzi nel sacco, finiscano anche documenti di vario tipo (per esempio le buste paga). Non so in Giappone ma in Italia capita di ricevere solleciti per pagamenti in realtà ottemperati a loro tempo: le ricevute sono fondamentali per dimostrare la nostra buona fede ed evitare un doppio esborso.
La parte su cui sono letteralmente inorridita è stata quella dei libri: non solo si dice di gettarli (senza accennare a donazioni a biblioteche o ad associazioni varie) ma persino di confinare i superstiti in un ripiano di un armadio, al chiuso. Il numero dei testi da tenere è molto risicato e nel corso della vita bisogna compiere via via una cernita. La Kondo racconta di quando decise di strappare ( sì, avete letto bene!) le pagine dai libri per conservarne solo le citazioni che avrebbe voluto tenere.
L’anima degli oggetti
Se ciò che decidiamo di tenere ci comunica emozioni positive, non significa che gli altri oggetti siano privi di una qualche “aura”: prima di congedarli vanno ringraziati per il lavoro svolto e lasciati liberi di andare (nella pattumiera).
Secondo lo stesso principio, dovremmo ogni giorno ringraziare gli oggetti che appartengono alla nostra vita: le scarpe che hanno sostenuto il nostro cammino, la borsa che ha contenuto i nostri effetti personali, l’abito che ci ha scaldato…
Ammetto di non essere una persona molto spirituale e faccio fatica a comprendere perché dovrei mettermi a salutare la casa al mio rientro e a ringraziare i vestiti che indossavo.
Questa parte può essere spiegata ripensando a quanto le cose materiali abbiano riempito il cuore della piccola Marie, quando nessuno sembrava occuparsi della sua esistenza. Imporre alle sue clienti questa modalità appare come un’ulteriore forzatura che può essere riletta come “abbiate cura di ciò che adoperate”.
Sinceramente, se un paziente mi venisse a raccontare che si è messo a intavolare un discorso con un paio di scarpe mi preoccuperei non poco.
Ci sono spunti utili?
Sì: il libro contiene consigli molti sensati per ciò che riguarda l’organizzazione dei cassetti e degli spazi in generale. Ho sperimentato la disposizione in verticale delle calze in un cassetto e mi sono resa conto di essermi resa conto di averne più di quanto pensassi..
Procedere per categorie è altrettanto utile: mettere tutte le cose di uno stesso tipo tutte insieme aiuta l’occhio a vedere subito quante ne abbiamo; compiere una cernita diventa più facile.
Chi compra questo testo è perché da qualche parte sente di voler metter ordine; pur non volendo seguire il metodo in toto la lettura è di per sé stimolante.
Vivere in un ambiente che rispecchi i nostri gusti, interessi e passioni non può che farci del bene. Sta a ciascuno trovare la strada più congeniale per raggiungere lo stato desiderato e se il metodo Konmari può aiutare, ben venga. Non griderei però alla rivoluzione copernicano-giapponese, nè lo assumerei come dogma.
In conclusione, l’autrice sa “vendersi” molto bene: ha dei grossi numeri dalla sua parte e ha ben donde di ribadire l’efficacia del suo metodo. Quanto è realmente intrinseco alla sua tecnica e quanto invece è figlio della sua fama, delle aspettative che le clienti nutrono e del carisma che trasmette in loro? Questa più che magia, può essere denominato marketing?