La mia stima per zio Harry l’ho già espressa nel dossier che gli dedicai qualche tempo fa.
Scrittore colto e raffinato, nonché prolifico come pochi altri, Turtledove ha avuto una buona distribuzione anche qui in Italia, approfittando degli anni ’90, in cui la narrativa fantastica di qualità godeva ancora di una certa dignità anche nel nostro paese. Ucronista, autore di fantascienza e di fantasy atipico, lontanissimo dagli eccessi young adult che oggi vanno tanto di moda, Harry Turtledove è quasi unico nel suo genere. Aggiungiamoci anche che è poco personaggio e molto scrittore, il che lo tiene lontano dalla ribalta, regalandogli però tempo in abbondanza per fare ciò che gli piace davvero: scrivere.
Oggi ho recuperato per voi questo articolo pubblicato due anni fa sul Publisher Weekly, di cui vi regalo alcuni passaggi da me da tradotti, sperando che vi faccia piacere. Per me è stato bello scoprire qualcosa di più di un uomo che dopo tanti anni di carriera ha ancora il pieno entusiasmo per il lavoro che fa.
(Articolo dell’11 aprile 2011)
Perché scrivo? La risposta più semplice immagino sia “perché non riesco a non farlo”. Racconto storie da quando ho imparato a parlare e a scrivere, prima solo per me stesso e poi per gli altri.
Essere in grado di farlo abbastanza bene da guadagnarci da vivere è un vantaggio, lo ammetto. Oramai ho i miei ritmi: mangio quando ho fame e dormo quando ho sonno. Lavoro soltanto ai progetti a cui voglio lavorare, e quando sono davvero pronto a farlo. Solo una persona – il mio editore – si frappone fra me e il mio pubblico.
Per chi, come me, ha lavorato per undici anni e mezzo nel burocratico mondo dell’insegnamento questa libertà creativa è quasi il paradiso.
L’aspetto negativo di tutto ciò è che ora ho un boss molto più duro di quelli per cui ho lavorato in passato: me stesso. Sedersi alla scrivania per perdere tempo non è più un’opzione valida, non se hai da portare a casa i soldi per comprarti da mangiare.
Non tutti sono in grado di lavorare senza qualcuno che dia ordini e direttive, generalmente in toni aspri e autoritari. Io ho una strana fortuna: questi toni aspri sono quelli della mia voce, e oramai gli ho interiorizzati.
Molto spesso, quando sto lavorando, sono spinto dal desiderio di scoprire cosa mi inventerò da lì a breve. Non sono uno di quegli scrittori che pianifica tutto sulla carta prima di mettersi all’opera. Di solito so a grandi linee dove sto andando, ma non come ci arriverò. Questo fa parte del divertimento della mia professione.
Voglio che i miei lettori innanzitutto si divertano, che non si annoino sfogliando i miei libri. Se poi di tanto in tanto riesco a suscitare qualche riflessione, tanto meglio, ma il divertimento viene prima di tutto. E’ una necessità.
Io stesso sono una di quelle persone la cui linea di confine tra documentazione per lavoro e documentazione per passione è davvero molto sottile, quasi inesistente. Sono uno storico per professione e un topo da biblioteca per professione. Scrivere romanzi di ucronia, fantasy e fantascienza è in fondo una piacevole scusa per arricchire la mia libreria e per guadagnare abbastanza soldi per pagare le tasse.
Leggere (e documentarmi) è l’attività che ancora oggi mi suscita le migliori idee, gli spunti di riflessione più interessanti. Più lontano guardiamo, più le nostre probabilità di imparare cose nuove aumentano.
Per svolgere al meglio il mio lavoro di scrittore mi è capitato di viaggiare alle Hawaii, di visitare il Jet Propulsor Laboratory, di recarmi a Yellowstone e a Stonehenge. Ho maneggiato un AK47 (una copia cinese) e ho pilotato brevemente un dirigibile Goodyear.
Potrei proseguire a lungo in questo elenco, ma il mio editore mi ricorderebbe di abbreviare i miei sproloqui, perciò mi fermo qui. Concludo dicendo che, se siete abbastanza in gamba e fortunati per farlo, vivere di scrittura è un ottimo modo per lavorare senza odiare ciò che fate.
(Harry Turtledove)
- – -