Il metodo Einaudi. Per chi volesse farsi un'idea di che cos'è guardi un po' qui. Ad esempio. Ma per farla breve, sul tavolo che vedete in queste fotografie si sono svolte gran parte delle famose "riunioni del mercoledì". Durante le quali è nato un mondo, quello einaudiano, che molti considerano tra le istituzioni culturali italiane più significative di sempre.
Varcare la porta della casa editrice Einaudi per me è sempre stato un desiderio, per non dire un sogno, che è una parola desueta, forse equivoca. Diciamo allora un obiettivo. Ma di quelli talmente grandi che in genere non si realizzano mai. Invece di recente mi è accaduto proprio di salire le scale degli uffici einaudiani di Via Biancamano qui a Torino, insieme a un nutrito gruppo di variegate altre persone, e sedere allo stesso tavolo di Pavese e Calvino, ascoltando e twittando il racconto di un romanzo nuovo, uscito dalla felice penna di una scrittrice interessante, che non conoscevo, e che ho scoperto proprio venerdì scorso, quando tutto questo è accaduto davvero.
Lei si chiama Jo Baker. Questo è il suo sito.
Può non essermi istrintivamente simpatica?
E dunque lei ha scritto Longbourn House. Un romanzo, il quinto dell'autrice inglese, da quattrocentomila copie, e speriamo anche di più perché merita. Non solo per la forza della prosa, ma anche per l'idea. Si tratta di una sorta di ampliamento della narrazione di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, spostando la focalizzazione dell'ambientazione verso il mondo della servitù di Longbourn House, per l'appunto.
Partendo dal personaggio di Sarah, la scrittrice ha voluto raccontare le azioni e le emozioni quotidiane di una comunità che nel romanzo della Austen passa invece solo di sfuggita sotto gli occhi del lettore, più impegnato a interessarsi a questioni di eredità, formazione di nuove coppie, amori fuori dagli schemi e pettegolezzi di ogni sorta. Qui invece il centro diventa il bucato, la fatica, la sopravvivenza. Senza trascurare, dicono, anche il re dei sentimenti, ovvero l'amore, ma questo non posso sottoscriverlo perché il libro non l'ho ancora finito di leggere. Perché allora mi affretto a scrivere questo post?
Perché vorrei accennare all'esperienza di venerdì 17, una data che è stata fortunata, a dispetto delle credenze. Per la prima volta l'Einaudi ha aperto le porte di casa per ospitare i blogger. Senza cadere in errore, si può dire che questo è un fatto da segnare sul calendario. In Italia c'è ancora un po' di vaga ritrosia a questo genere di aperture, ma all'estero non solo gli editori sanno bene cosa sono e a cosa servono i blog, e ne conoscono il potenziale ormai consolidato, ma talvolta sono blogger essi stessi, come si può verificare qui, o qui.
Quel che mi è piaciuto per tornare a noi di questo modo di presentare un nuovo progetto ai blogger è stato l'approccio frontale. Dal momento che non sempre i fantomatici blogger hanno il tempo (come invece dovrebbe accadere ai giornalisti professionisti) di leggere i romanzi e prepararsi sempre interviste strutturate - si badi che solitamente il blogger allo stato attuale delle cose svolge ben altri lavori per vivere - e dunque non può come vorrebbe prepararsi adeguatamente all'incontro con gli autori in maniera professionale.
O se lo fa, accade di rado e a scapito di altri impegni remunerativi. Tuttavia, a valorizzare e alleggerire al tempo stesso "il mestiere di bloggare" l'Einaudi ha trovato un modo gentile e rispettoso di coinvolgerci. Siamo stati ospitati, per l'appunto, là dove i massimi intellettuali hanno costruito l'humus culturale del nostro Paese, e ci hanno raccontato il libro scegliendo in particolare di introdurci metaforicamente nella cucina della traduttrice, Giulia Boringhieri, che ci ha anche messo a disposizione alcune delle sue note. Una delizia per gli occhi e per la mente, un vero incontro ravvicinato con il lavoro ben fatto; a proposito di metodo Einaudi.
Insomma là. Ci siam divertiti.
Quanto a me, che avevo deciso di rallentare i miei ritmi, è stato agevole accettare volentieri questo invito, perché l'Einaudi si trova proprio vicino a casa mia, a km 0, e in questo sono fortunata. L'altra fortuna è stata la rilettura, che Longbourn House mi ha invogliato, di Orgoglio e Pregiudizio, permettendomi di rientrare in contatto, memore di antiche sensazioni universitarie, con lo stile di scrittura ironico e ben scolpito della Austen. Poi rileggerò ciò che di lei disse la Woolf, così si completa il quadro.
Servire a tavola le dava il voltastomaco: tutto quell'infilare in bocca, masticare, spingere il cibo nella gola, e quel maciullare con le mandibile, e quel tracannare tè e caffè...
Ecco sì, aggiungo che per la deliziosa Jo Baker questo libro ha rappresentato una sorta di riscatto, ci spiegavano, dal momento che i suoi nonni appartenevano alla categoria della servitù, e lei in questo modo ha potuto dare loro un nuovo respiro, di aria più argentina, adamantina e cristallina. In tanti possiamo ritrovarci, chi in un modo chi in un altro in questo miracolo che fanno i libri. Se non riscattare, di sicuro creare una nuova atmosfera da respirare. Un'esperienza questa che possiamo vivere tutti. Dunque, buona lettura. E buona respirazione di nuovo ossigeno.
ph. (bellissima) di Francesca Crescentini che non è solo una brava fotografa ma lavora in Einaudi ed è anche lei una blogger e che per i pochi che non conoscono dico chiamarsi: Tegamini! E poi c'erano quelli simpaticissimi del Club Sofa and Carpet e gli amici cari di Critica Letteraria.
#Longbournhouse
La giovane blogger indossa un golfino grigio dimesso shabby chic! (ph. Club Sofà and Carpet)
Tutti a tavola, questa volta per pranzare. (ph. Debora Lambruschini, super blogger anglofona e anglista di Critica Letteraria).
Posa artistica per omaggiare la copertina.