Il Milione 45: Vento divino.

Creato il 05 giugno 2011 da Enricobo2

Tornando a leggere il Milione, posso dire che io, una preminenza su Marco Polo ce l'ho. Sono infatti stato una sola volta in Giappone, lui invece ne ha solo sentito parlare, ma ce ne  racconta con dovizia di particolari, quindi, con giusta ragione, questa volta sono io che posso dire al suo posto: "V'ha cose bellissime da ricordare ed io vi stetti, che bene ve le saprò raccontare per ordine". Bisogna dire che le isole giapponesi erano in quel momento una vera e propria ossessione per il Gran Khan che bramava aggiungerle alle sue conquiste, favoleggiandone le ricchezze. Come riporta Marco, il nome con cui era conosciuto era lo stesso usato oggi in Cina. La trascrizione Zipangu infatti corrisponde esattamente all'attuale Ri Ban Guo (La R si pronuncia come una sorta di Z dolce). e significa oggi come allora: il paese del sole che nasce. Ma i desideri del Khan rimasero delusi e il Giappone rimase indipendente per sempre e libero di dedicarsi alle proprie guerre intestine. Ma sentiamo come se ne raccontava allora.
Cap.155
Zipangu è una isola in levante, ch'è ne l'alto mare 1500 miglia. La gente son bianche, di bella maniera e belli. La gente è idola e non ricevono signoria da niuno se no da loro medesimi. Qui si trova oro e n'ànno assai; neuno uomo no vi va, neuno mercatante non ne leva: però n'ànno cotanto. Lo palagio del signore è molto grande e coperto d'oro come si coprono di piombo le chiese. E tutto lo spazzo (pavimento) de le camere è coperto d'oro spesso ben due dita e tutte le fineste e mura e ogne altra cosa: no si potrebbe dire la sua valuta. Egli ànno perle assai e son rosse e tonde e grosse e più care che le bianche. Ancora v'àe molte pietre preziose che no si potrebbe contare la ricchezza di questa isola.
Come si vede l'erba del vicino è sempre più verde e il Gran Khan invia una grande armata per conquistare il paese, mentre il gran rammarico del mercante è nel non potervi andare a far affari.

E il grande Khane per questa grande ricchezza, la volle fare pigliare e mandòvi due baroni co' molte navi e gente assai, ma venne una mala sciagura com'io vi dirò. Or avenne un die che 'l vento a tramontana venne sì forte che tutte le loro navi si romporebbero. Andarono lungi su un isola no molto grande e chi potè montare su l'isola si campò  e l'altre navi si ruppero e le rimaste se ne andavano verso lor contrade e tanto vogaron che tornaron in lor paese.

Disfatta totale dunque e via la testa ai due baroni sconfitti appena tornati salvi dalla furia degli elementi, mentre dall'altra parte grandi feste per questo "vento divino", il famoso kamikaze, che salvò definitivamente il paese, che rimase per sempre nei desideri incompiuti dell'imperatore. Naturalmente le famose ricchezze aumentarono a dismisura nella fantasia cinese e come sempre ai nemici invitti vennero addebitate ogni tipo di nefandezze e abitudini quantomeno riprovevoli. Infatti eccone un campionario, dalla religione alla cucina. 
Cap. 157
Or sapiate che gli idoli di questa isola son tutti d'una maniera. Tali sono ch'ànno capo di bue e tal di porco e di montone e così di molte fazioni di bestie. Tali ànno un capo e 4 visi o 4 capi e tali 10 e quanti più n'ànno, magiore speranza e fede ànno in loro. E di questi idoli son sì diversi e di tante diveristà di diavoli, che qui non si vuol contare. Or vi dirò d'una usanza ch'è in questa isola. Quando alcuno prende alcun uomo che non si possa ricomperare, convita suoi parenti e compagni e fanno ' l cuocere e dallo a mangiare a costoro; e dicono ch'è la miglior carne che si mangi.
Come si vede la demonizzazione del nemico è una costante universale. Quando ci andai non vidi mangiare carne umana e tantomeno palazzi ricoperti d'oro dentro e fuori, solo meravigliose costruzioni in legno odoroso in giardini perfetti, ma fui molto colpito invece dalla sensazione di ordine e di efficienza che regna in quel paese. Anche oggi sono convinto che questo è l'unico paese che può risorgere dopo un disastro come quello avvenuto recentemente, grazie alla sua capacità efficiente e allo spirito di sacrificio dei suoi abitanti. Erano gli anni novanta, con prezzi per noi esagerati dal cambio. Così guardavo stralunato nella Ginza un negozio /boutique di frutta che esponeva un meloncino in una cassettina di legno a 100.000 lire, vicino ad una scatoletta laccata contenete 6 grossisime ciliegie a sole 60.000 lire. Saranno state queste le famose perle rosse? E quando fummmo invitati dal nostro fornitore alla cena più costosa della mia vita (800.000 lire a coperto) gustai con grande attenzione le delicate fettine di shabu shabu, il vitello allevato a uova e massaggiato a mano tutti giorni e soprattutto la migliore tempura della mia vita. Mentre le fragranti e leggerissime brochettes di pastella (vedere da Acquaviva la ricetta), ognuna con la sua sorpesa diversa di verdura all'interno, si frangevano saporose nella mia bocca, neanche mi venne in mente che il buon Marco, costo a parte, non avrebbe potuto assaggiarle essendo arrivate da quelle parti solo nel 1500 con i Portoghesi. Pensavo solo a godere di quella meravigliosa leggerezza e sapidità e neanche mi lamentai per la scomodità della posizione, tanto dopo pochi minuti le gambe neanche più le senti e ti puoi concentrare sul cibo.
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