Magazine Cultura
Cap. 161
...e dopo 500 miglia a mezzodie si truova un'isola ch'à nome Pentain e che è molto salvatico luogo. Tutti i loro boschi sono di legni odorosi... ed io Marco Polo vi dimorai 5 mesi per lo mal tempo che mi tenea e ancora la stella di tramontana non si vedea, né le stelle del maestro (Orsa Maggiore)... In questo reame sono uomini ch'ànno coda grande più di un palmo e dimorano ne le selve de le montagne; le code son grosse come di cane e àn molto pelo.
Credo che chiunque si trovi di fronte agli occhi buoni dell'orango che sbuccia una banana non potrebbe descriverlo se non come un uomo, tanto i suoi sguardi ammiccanti ed i suoi movimenti per attrarre l'attenzione sono vicini a noi ed al nostro sentire. Ma la vicina Indonesia è ancora oggi una delle terre più interessanti per le culture primitive e diverse che ospita nelle sua centinaia di isole, in ognuna delle quali, antiche abitudini, magari solo edulcorate dalle leggi attuali, rimangono a ricordare un passato recente di tagliatori di teste, di lavori di rimpicciolimento, di strani culti dei morti.
Cap. 162-166
E vo' vi far a sapere di quei che menano li piccoli uomini d'India, si è menzogna, ché quelli che dicon uomini sono piccole scimmie, che ànno volto simile all'uomo e li fanno in queste isole; le pelano salvo la barba e il pettignone (l'inguine), poi lascianle seccare, concianle che pare che siano uomini e questa è una grande buffa... Qui la gente è molto selvatica e quando uno muore poscia lo cuociono e quando è cotto vengono tutti li parenti del morto e mangiallo con tutte le midolla dell'osso, che non vogliono che ne rimanga sostanza che faccia li vermini che poi morrebbero per falta di mangiare e di questo, l'anima del morto n'avrebbe grande peccato. Poscia piglian l'ossa, pongonle in un'arca e apiccalle in caverne ne le montagne. Così se posson pigliare alcun uomo d'altra contrada, sì 'l mangiano.
Certo i costumi cannibali sono oggi forse scomparsi, ma il culto dei morti è ancora oggi in certe località interne, di grande impatto. Al centro di Sulawesi, (come ho già raccontato qui) tra le caverne dove i Toraja ripongono le arche con le ossa dei loro morti, io e la mia bambina ci aggiravamo solo pochi anni fa, cercando lo spazio dove mettere i piedi senza calpestare tibie e teschi, che fuoriuscivano dalle casse muticolori che il tempo aveva marcito e aperto naturalmente. E il grande funerale a cui assistemmo durava da un mese, con sacrifici giornalieri di bufali e maiali, la cui carne, bollita in grandi pentoloni dietro le capanne, poi maggiammo con tutta la comunità nei piatti che venivano distribuiti a tutti gli astanti, tra canti e danze che coinvolgevano il villaggio, almeno ritengo fosse maiale o bufalo. Questo rappresentava certo una redistribuzione della ricchezza, come presso altre culture i grandi matrimoni, ma anche un legame con riti ancestrali mai dimenticati. Fu una esperienza forte che ancora oggi mia figlia ricorda con particolare intensità. Marco Polo non poteva certo non riportarla.
(le foto tra un paio d'ore)
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