Il ministro – Pierre Schoeller, 2012

Creato il 16 aprile 2013 da Paolo_ottomano @cinemastino

Come recita il sottotitolo de Il Ministro, il film racconta la storia di un uomo nell’esercizio dello Stato: ma dipende da cosa si intende per Stato. È l’insieme dei cittadini che sfruttano l’unico potere in loro possesso per affidare a qualcuno più esperto di loro il compito di governarli – almeno sulla carta? O è solo quel ristretto manipolo di politici, appunto eletti e rappresentanti una collettività molto più ampia, di cui spesso ignorano deliberatamente o inconsapevolmente i bisogni? L’aspetto più evidente e il pregio di questo film risiede proprio nel cavalcare quest‘ambiguità e non superarla, restituendo l’immagine del ministro dei trasporti – ma poteva essere quella di un qualsiasi ministro, dall’economia alla sanità all’istruzione – in mezzo a due fuochi, nel suo massimo sforzo per alimentarli entrambi ma senza mai riuscire a proteggersi dalle scottature.

L’occasione che potrebbe permettere a Bernard Saint-Jean di dimostrare la sua capacità di gestione si presenta nel cuore della notte, quando il suo capo di Gabinetto lo sveglia per comunicargli una notizia: un pullman è precipitato in un burrone. L’istituzione deve recarsi sul posto e segnalare la sua presenza, spiegare ai cittadini cosa è successo è rassicurare tutti del fatto che non permetterà il ripetersi di incidenti simili. Ma cosa si deve esattamente fare, in queste circostanze? Cosa è più urgente, tra la smentita di una dichiarazione e la cura dei rapporti con i colleghi ministri? Il personaggio di Saint-Jean non sembra avere il polso della situazione e nemmeno la faccia, l’immagine per imporsi ai media come un risolutore: glielo fa notare anche il capo del suo staff, Zabou Breitman / Pauline; si evince dal solo tipo di rapporto che Bernard ha con sua moglie, la sveltina prima di addormentarsi. Emerge soprattutto nella chiave di interpretazione del film, che sembra essere la notte trascorsa con il suo nuovo autista e sua moglie, emblema del contatto diretto che un ministro può avere con il suo popolo: presuntuoso, insoddisfacente ma smanioso di rimediare nel modo più rocambolesco. Anche questo un totale fallimento dalle conseguenze ben più gravi del previsto.

Se il punto di arrivo del film è chiaro e racconta l’ambiguità e spesso l’incoerenza di un uomo di stato alle prese con le sue priorità, il modo in cui lo si raggiunge manca di quel mordente che, per esempio, avrebbe potuto giustificare il trionfo ai Premi César (Migliore Attore non protagonista, Migliore sceneggiatura) e il Prix Fipresci de la critique internationale; quella continuità di sceneggiatura in cui una sequenza succede necessariamente a un’altra e che non appesantisce, che non allontana da un tema che – è innegabile – può non avere molto appeal in un pubblico come quello attuale, spesso disaffezionato alla politica.

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