Questo sarebbe uno di quei post che di questi tempi mi provocano prurito e avrei voglia di non pubblicare per tutto quel po’ po’ di ragionamento fatto giorni orsono e da voi così mirabilmente colto e commentato (sono troppo servizievole? Troppo adulatrice? Pazienza, sopportate. Pensate soltanto che l’aggettivo “adulatrice” non mi veniva in mente e ho dovuto cercare cose turche per arrivarci; questo mi preoccupa, e anche questa sarebbe una di quelle cose che vorrei evitare di far notare. Appunto).
Rifo. Bando alle ciance e alle seghe mentali (come direbbe uno che ogni tanto passa di qui e fa il guastatore).
Il fatto è che, dalle mie parti, si usa dire: “La mia Laura quando che vuole è una gran diavola”.
Il che, detto così, risulta soltanto sgrammaticato ma in effetti è la traduzione di una frase che, in dialetto, risulta ben ritmata e con assonanza finale. Fidatevi.
Il suo significato, così come la intendeva mia nonna, è questo:
“Ho una nipote che si chiama [esempio, nome de plume, simbolo -->] Laura, che sembra una così così ma, quando vuole, è un vero diavoletto e fa cose meravigliose”.
Poi, i nipoti di mia nonna si chiamvano in tanti modi, tranne che Laura, ma la frase era quella.
Il fatto è che il mi’ figliolo, da un mesetto a questa parte, ha deciso di darsi alla maglia, intesa tricot, intesa ferri da calza, gomitolo e dritto e rovescio.
E già qui: con le figliole sono arrivata soltanto al diritto, e fatto pure male, tutto sbindorlento, un punto largo, uno caduto, uno doppio, e tutto quel punto legaccio che a me ha sempre fatto piuttosto schifo.
Lui, invece, che non studia, non si esercita con lo strumento, non mette il pigiama quando va a letto, si alza tre minuti e mezzo prima della partenza del treno e mi fa venire l’angoscia tutte le mattine, lui, dicevo, il figliolo, si è messo lì e mi ha fatto comprare la lana per una sciarpa. Un classico. Ho speso 25 euro per la lana che voleva lui, quel verde là, quella morbidezza su, quella pesantezza giù… Però, poi, mi ha dato soddisfazione: ha imparato il dritto e il rovescio e gli ho insegnato un punto semplicissimo che però, a vederlo, sembra che uno ci abbia lavorato su mesi e mesi. Fidatevi.
Fidatevi perché non ve lo posso far vedere. Non vi posso far vedere la sciarpa. L’ha finita una sera, e io mi sono alzata al mattino alle sei per mettere le ultime frange, pensando che, al ritorno del figliolo da scuola (la sua, quella dove non studia scienze e non studia storia), l’avrei fotografata e l’avrei messa qui. Errore: la sciarpa l’ha regalata il giorno stesso. A una non meglio precisata “amica”.
No, dico: 25 euro di lana (in svendita anche sì!, costava nove euro l’etto!!).
Comunque, dopo la sciarpa salta su che vuole farsi un maglione.
Ci risiamo, ho pensato, io compro e lui regala.
Comunque, mentre lui faceva il davanti, più piccolo, io di nascosto gli ho rifatto il dietro, grande la metà di prima. Perché di nascosto? Perché se fosse venuto a sapere che lo avevo fatto lavorare su una base di 100 punti quando ne sarebbero bastati una sessantina, mi ammazzava.
In ogni modo, la sostituzione è avvenuta, poi lui ha fatto una manica, l’altra l’ho fatta io, e oggi ho ripreso i punti del collo e ho chiuso a punto maglia.
Il maglione è finito. Il figlio è uscito. Io ho fatto le foto, per spiegare che il mio Lauro, quando vuole, è un grande divolo (e perché domani, secondo me, ‘sto maglione sparisce).
(fanciulla che ti sei fatta fare un maglione di taglia 42 a righe verdi e nere, la prossima volta puoi comprare tu la lana? Grazie)