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[…] “Ho capito allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. E’ un cattivo segno se non ci si stanca. Uno non può sperare qualcosa di serio così alla leggera, come con una mano sola, svolazzando via fresco fresco. Non si può cavarsela così con poco. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi; e se ha dei sentimenti molto forti che lo inquietano in cuore, se è molto felice o molto infelice per una qualunque ragione diciamo terrestre, che non c’entra per niente con la cosa che sta scrivendo, allora, se quanto scrive è valido e degno di vita, ogni altro sentimento s’addormenta in lui. Lui non può sperare di serbarsi intatta e fresca la sua cara felicità, o la sua cara infelicità, tutto s’allontana e svanisce ed è solo con la sua pagina, nessuna felicità e nessuna infelicità può sussistere in lui che non sia strettamente legata a questa sua pagina, non possiede altro e non appartiene ad altri e se non gli succede così, allora è segno che la sua pagina non vale nulla”.
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