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“Il mio migliore amico” di Patrice Leconte: una commedia francese sulla felicità e sul dolore dell’amicizia

Creato il 12 agosto 2015 da Alessiamocci

“Chi trova un amico, trova un tesoro” si dice sempre. L’importante però è sapere di averlo trovato, altrimenti si rischia di rimanere soli, quando invece accanto a te c’è la persona che potrebbe renderti felice, mentre tu ti affanni a trovare qualcuno che corrisponda al tuo identikit dell’amico del cuore.

Una problematica a cui François (interpretato da Daniel Auteuil), il protagonista del film di Patrice Leconte “Il mio miglior amico” (2006), non si era mai interessato: ricco mercante d’antiquariato, trascorre le proprie giornate tra vendite d’aste dispendiose e la sua galleria in centro a Parigi, insieme alla giovane socia (Julie Gayet). E proprio questa lo spinge alla “fatal domanda” su chi sia il suo miglior amico, scommettendo un prezioso vaso greco da lui appena acquistato se non riuscirà a presentarlelo, entro dieci giorni, perché lui non ha amici.

La sfida lascia spiazzato l’uomo, sicuro al contario di poter vantare ben più di una persona di cui fidarsi. Ma quando si trova a doverli contattare, arrivando addirittura a cercare gente che non vede da anni, capisce che i rapposti con loro sono di semplice e triste conoscenza. Nessun sorriso, nessuna confidenza, soltanto sterili rapporti di lavoro.

Nel tentativo di trovare una persona da presentare, non tanto per il bisogno di legami quanto per orgoglio personale, François arriva a importunare una tranquilla coppia di amici per scoprire il loro “segreto”, facendo nascere nello spettatore una risata che si rivela ben presto amara, di fronte a una persona che ha pensato per tutta la vita solo ai propri interessi. Il sorriso rimane, ma inizia a farsi spazio  una certa commiserazione per quel personaggio sempre più solo.

Nella sua ricerca disperata, il mercante arriva a farsi trasportare per la capitale francese da Bruno (Dany Boom), un tassista ossessionato dal sapere ma anche dall’ansia che gli nasce velocemente, non riuscendo mai a partecipare a qualche quiz a premi in televisione. L’autista asseconda le stranezze del passeggero, divertito, e cerca di insegnarli come entrare in contatto con le persone, finendo per instaurare un rapporto con lui che sembra di vera amicizia. Già, sembra…

Amaro e dolce al tempo stesso, come la tradizione dei film francesi vuole, quest’opera di Leconte abbraccia quel filone che poi continuerà con “Quasi amici” e altri titoli similari, ponendo al centro l’importanza di un rapporto di fiducia e rispetto tra amici. Che non fa tanto a pugni con le differenze sociali, come sarà nell’altra pellicola citata, quanto con l’avversione dei François a lasciare qualcosa di sé ad un’altra persona.

Vederla solo come una bella storia di valori, però, è troppo riduttivo: i rimandi a un sentimento alto e puro sono onnipresenti, fin dall’inizio, in quel vaso millenario che il protagonista acquista (per una cifra ritenuta nel film esorbitante, ma sinceramente modesta per un reperto inestimabile) e poi scommette. Sopra, infatti, vi sono raffigurati Achille e Patroclo, simboli per eccellenza nell’antichità dell’importanza dell’amicizia.

Tranquilli, rimane comunque una commedia: con Bruno le risate non tardano ad arrivare, ma anche i momenti di riflessione, che pongono l’attenzione sempre sul vero significato che attribuiamo all’altro, che ci guarda dentro con una lente che forse vorremmo evitare. Cosa vuol dire essere amico? Chi lo è veramente?

In qualche modo cerchiamo sempre qualcuno, soprattutto oggi dove i social fanno dell’amicizia uno strumento più quantitativo che qualitativo: ho tanti “amici”, per cui valgo. Ma così diventano solo icone colorate di volti sorridenti, pronti a scollegarsi dal web quando chiediamo aiuto. E rimaniamo soli, in mezzo a un universo di gente che non conosce nemmeno il nostro nome.

Written by Timothy Dissegna


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