Avevo in mano una pesca – frutto che
amo molto – la cui buccia era in parte butterata, in parte
raggrinzita, in un punto già in corso di fermentazione e quindi
marcescenza.
Però sentivo – al tatto – che la
sua polpa era per il resto della giusta consistenza, e potevo
percepire un tale profumo che mi dava la certezza della sua bontà.
Allora l'analizzavo per bene e con un
coltello appuntito eliminavo le parti in più avanzato stato di
fermentazione, così come quelle in cui era butterata, e infine la
sbucciavo. Ed eccola lì, la polpa – bella soda, arancione, succosa
e gustosa. Un invito per la mia bocca, i miei denti, la mia lingua.
Mangiavo – sì, me ne nutrivo – e
giungevo al nocciolo.
Quello mi temeva: temeva che l'avrei
buttato via una volta che avessi consumato tutto il resto. Invece no.
Era mia precisa intenzione e volontà 'salvarlo' – d'altronde avevo
preso ogni cautela verso il frutto apposta perché lui rimanesse sano
e integro.
Così lo lavavo, lo mettevo a un calore
tiepido ad asciugare, poi lo interravo bagnandolo quanto necessario –
mantenendolo nel costante tepore affinché stesse bene e si sentisse
al sicuro.
Tutti i giorni gli parlavo, lo
rincuoravo, lo esortavo a crescere e bucare prima il suo guscio, poi
la terra. E germogliare.
Quanto grande sarebbe stata la mia
felicità quando ciò fosse accaduto, e quanto l'avrei aiutato a
diventare una pianta forte e robusta – sempre dandogli parole
calde, protezione e nutrimento. Affinché poi potesse generare frutti
a beneficio di tutti – non solo mio.
Anzi, magari neppure mio, a quel punto,
ché io avrei già guardato un altro frutto sofferente per una
grandinata, o per la siccità, o per l'assenza di cure e – se
avessi verificato che il profumo era buono e la consistenza sotto la
buccia promettente – avrei di nuovo messo in atto il medesimo
processo.
Così mi sembra che accada: che vedo
sempre l'essenza – che per qualche ragione fortuita si mostra per
un attimo in tutta la sua bellezza, la sua perfezione, la sua
intensa, profonda, densa potenzialità – di coloro che di volta in
volta amo. E questa vorrei liberare dagli attacchi esterni, così
come dalle presenze apparentemente protettive, ma che in realtà
stanno facendo atrofizzare la polpa sotto la buccia.
Sicuramente c'è arroganza, nel mio
agire – ché magari tu mai vorrai essere quella pianta rigogliosa
piena di frutti, perché ciò costa fatica, impegno e fiducia verso
te stesso e nei miei confronti.
E può sconcertarti l'idea che non ci
sarò per sempre, ma solo finché lo riterrò per te necessario e per
me piacevole – o almeno sopportabile in vista di quel fine.
E puoi anche non credere a queste mie
parole – ma questo è ciò che sarà, che tu mi creda o meno.
Se/quando amo, lo faccio in questo
modo, e solo per un po'.
Ché a me della proprietà di qualcuno
non importa nulla: io sono felice se ho contribuito alla nascita e
alla crescita di una pianta rigogliosa e lussureggiante in più – che sta dando frutti polposi e succosi in giro a tutti.