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Il mio nome è Nessuno - Il giuramento, Valerio Massimo Manfredi
Creato il 15 novembre 2012 da Sommobuta @sommobutaSinossi un po’ stringata, lo ammetto.
Ma parlare di uno dei personaggi più importanti dell’epica classica sembra sempre quasi “scontato”. Non lo è, per fortuna. Ne “Il mio nome è Nessuno – Il Giuramento” Valerio Massimo Manfredi è tornato a scrivere (finalmente! – Aggiungo -) un buonissimo romanzo, degno dei suoi migliori. Lo ha aiutato certamente il canone classico della mitologia, essendo il romanzo pregno fino al midollo di miti, storie e leggende del mondo greco antico.
Per gli amanti di Iliade, Odissea e amenità simili è un romanzo imprescindibile, di quelli che ti acchiappa dall’inizio alla fine.
Manfredi è bravo a tratteggiare la figura di Odisseo, facendocelo conoscere sin da bambino e seguendolo in tutto il suo percorso di crescita e maturazione. A differenza di tutto il mondo acheo, dominato dalla gloria, dall’eroismo e dalla violenza, Odisseo si pone sin da subito come un unicum, come un personaggio che ammira e adora il posto in cui vive, ma che, a differenza degli altri eroi, subito pronti ad estrarre la spada, privilegia “la mente” al “braccio”.
Ulisse Begins!
Vediamo perciò Odisseo imparare ad essere Odisseo, ad esercitare il suo talento e il suo ingegno, ad allenarsi giorno dopo giorno, a fare conoscenza di re, sovrani e principi che un giorno potrebbero essere suoi alleati.
Da questo punto di vista sono fortissime le influenze che i padri esercitano sui figli. Odisseo capisce sin da bambino che suo padre, il re Laerte, è un uomo straordinario perché ha compiuto imprese straordinarie (una su tutte: la conquista del vello d’oro assieme a Giasone e agli altri argonauti), e uno degli imperativi categorici che si impone è quello di perpetrare l’amicizia tra i figli degli Argonauti. Perché come i padri sono stati capaci di rimanere uniti nelle difficoltà, anche i figli dovranno rimanere uniti per non sconquassare il regno Acheo con inutili lotte.
Da questa convinzione, e dall’idea di unione imperitura, nascono alcuni degli stratagemmi più conosciuti: dal suggerimento a Tindaro sull’accordo generale per la “salvaguardia” di Elena, alla prima ambasciata a Troia, sino alla guerra (Perché se non si è potuta evitare, pensa Odisseo, allora la si deve assolutamente vincere. Tutti assieme, come sempre).
Menelao, re dei cornuti!
Grande rilevanza viene data alla famiglia di Odisseo, soprattutto al padre Laerte, vero e proprio ispiratore del nostro eroe con i suoi racconti epici e i suoi consigli saggi e puntuali, e al nonno Autolico (da cui riceverà gli insegnamenti più “brutali”).
Probabilmente la parte più debole di tutto il romanzo è quella finale, quella relativa alla Guerra di Troia. Se in tutto il romanzo Manfredi si è sforzato nell’inventare una formazione credibile di Odisseo con il poco che si sapeva, riuscendo ad ottenere un risultato più che ottimo, con la guerra sotto le mura di Ilio ricade negli erroracci (o almeno, in quelli che io reputo tali) compiuti sia ne “L’armata perduta” che ne “Le idi di marzo”.
E’ vero che sappiamo già come andrà a finire la faccenda, ma ricopiare paro paro l’Iliade (anche se vista con gli occhi di Odisseo) non mi è sembrata una buona idea. Per carità, l’epos è sempre alto, il tasso di gradimento pure, ma ritengo sarebbe stato molto più interessante sorvolare sui fatti “noti” e indagare quelli poco conosciuti. E infatti i punti più interessanti della guerra ci vengono dati da Odisseo che penetra nella città di Ilio, e dalla disputa delle armi di Achille. Se avesse inserito anche il furto del Palladio – cosa che avviene, ma a posteriori nel romanzo senza la consapevolezza di cosa sia in realtà quel manufatto – e il recupero dell’arco di Eracle, il romanzo sarebbe stato il top dei top.
Stando a quanto dice l’autore, ha tenuto conto dei canoni mitologici classici. Cosa vera (ma in parte): il giorno in cui vedrò un romanzo con Neottolemo, il figlio di Achille, che scorazza sulla piana di Ilio non come adulto, ma come bambino prodigio e assassino di 10 anni, sarò completamente soddisfatto*.
Neottolemo. Come lo immagino io. Gli mancano solo i capelli rossi...
Al di là di tutto, comunque, “Il mio nome è Nessuno – Il giuramento” è un gran bel volumazzo. La mia paura, con il secondo volume, è che Manfredi si lasci trascinare nel raccontare unicamente l’Odissea e “solo” l’ultimo viaggio del nostro eroe. Farebbe un errore colossale…
*Il canone epico dei poemi epici non pervenuti (dei quali abbiamo tracce grazie a scrittori e drammaturghi antichi che avevano avuto modo di leggerli) dice testualmente che Neottolemo è nato praticamente alla vigilia della Guerra. Ciò vuol dire che quando Odisseo lo va a recuperare a Sciro, Neottolemo ha 10 anni. E io subisco il fascino di questo marmocchio di dieci anni, assetato di sangue, che fa scorribande davanti alle porte Scee…
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Inviato il 25 novembre a 09:53
C'è anche un "nessuno" di un autore misconosciuto eccolo qua: https://www.facebook.com/NessunoDanieleLeone
Se volete leggere un'anteprima: http://danieleleone.altervista.org/fp-content/attachs/nessunodanieleleone44pgg.pdf
Un vecchio aedo è prossimo alla fine. Riflette sulla sua esistenza, ripercorre le storie che ha raccontato. Durante la notte, nell'attesa dell'alba e della morte, gli appaiono delle ombre. A voi scoprire chi è.
NB Spero non me ne vogliate per il parassitismo. Spero comprendiate che un "nessuno" come me ha ben pochi mezzi e deve necessariamente ricorrere anche a questi. Perdonate.