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Ho due ricordi particolari. Uno legato alla mia infanzia, a quando il professore, insieme ad altri dirigenti provinciali del partito socialista, veniva spesso a Sant’Eufemia per incontrare i militanti nella sezione di piazza Matteotti che mio padre frequentava con una certa assiduità, nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Anni in cui il partito – qualsiasi partito – non era un comitato elettorale, ma uno strumento della “base”. Anni in cui il militante si sentiva investito di una responsabilità che trascendeva i propri destini personali.
Nel momento della deflagrazione (tangentopoli) restò a sinistra, con i pochi che avemmo il coraggio di dire e dimostrare che un socialista mai avrebbe fondato un club di Forza Italia, come anche a Sant’Eufemia accadde, con la quasi totalità dei vecchi compagni passati armi e bagagli alla corte di Sua Emittenza.
Vicino a Rifondazione comunista e quasi sempre in polemica con i Democratici di sinistra, gli eredi di quel partito comunista che i socialisti videro sempre – con qualche ragione – come il proprio carnefice.
Il secondo ricordo risale a circa cinque anni fa. Andai a trovarlo e il discorso cadde su uno dei massimi esponenti del socialismo calabrese. Non ho mai sentito così tanto odio e rancore (sì, odio e rancore sono i termini più appropriati per descrivere la violenza delle sue parole) come in quell’occasione. E questo spiega molto del socialismo, della sinistra in generale e della autolesionistica guerra tra bande che storicamente ne costituisce il tratto distintivo.
Controcorrente, spesso scomodo, qualche volta livoroso. Come nell’ultima sua crociata contro le “sindachesse” dell’antindrangheta che sinceramente non ho ben compreso, insieme ad altre posizioni a mio avviso troppo manichee sul tema scivoloso della giustizia e del garantismo. Di certo, mai banale.
Amava questa nostra disgraziata terra. Mi mancherà la sua quotidiana “Luna rossa” su “L’ora della Calabria”. Alla Calabria mancherà un intellettuale onesto e raffinato.
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