Quello che state per leggere è la logica prosecuzione dei due precedenti articoli, recentemente pubblicati, dedicati a ”Big Pharma“, come viene di solito etichettata la lobby costituita dalle più importanti multinazionali del farmaco.
Ed è in un certo senso anche la parte più interessante, in quanto illustra ciò su cui questa industria fa leva, che non è palese ai più, e che pochi hanno il coraggio di mettere in discussione, e cioè il paradigma culturale che alimenta uno dei miti più radicati nella nostra società e difficili da ridimensionare: quello della ricerca scientifica quale mezzo indispensabile per assicurare non solo il progresso tecnologico e materiale, ma anche un maggiore benessere della società, attraverso la sconfitta della malattia in ogni sua forma.
Ogni qual volta avviene una nuova scoperta, i media non si lasciano sfuggire l’ occasione per annunciarla trionfalmente coi soliti toni ottimistici, nè di mettere in evidenza che malattie che una volta affliggevano l’ umanità sono state ormai debellate grazie ai progressi della scienza medica, dimenticandosi che nel frattempo ne sono comparse almeno altrettante di nuove, oppure che certi problemi che sembravano sconfitti per sempre a volte si ripresentano.
Oltre a ciò, sono molto radicate nell’ opinione pubblica convinzioni che si basano su interpretazioni discutibili di certi fatti, e forse l’ esempio migliore è rappresentato dalla questione delle vaccinazioni: ben pochi si rendono conto che il declino di certe malattie attribuito all’ introduzione delle vaccinazioni obbligatorie era già iniziato prima di quel provvedimento, seguendo un andamento parallelo a quello di altri Paesi che non avevano adottato quelle stesse misure profilattiche.
E poi, a precedere e ad accompagnare i progressi della medicina in questo campo, c’è stato il miglioramento complessivo delle condizioni sociali, in particolare per quanto concerne i servizi igienici, che verosimilmente contribuisce non poco a ridurre la diffusione di certe malattie.
Ma tant’ è: una volta sancita l’ equazione nuovo farmaco = più salute, si innesca un meccanismo psicologico-culturale che ci porta a vedere quello che vogliamo. Una sorta di effetto placebo collettivo.
E’ assolutamente umano e comprensibile che l’ uomo sia perennemente sotteso da un insaziabile desiderio di conoscenza, e fin dagli albori dell’ era moderna (quella che si identifica con la nascita e lo sviluppo del pensiero scientifico), il suo impegno ad indagare i più minuti e segreti aspetti della natura si è intensificato sempre più, come mai era avvenuto in precedenza, man mano che i successi si presentavano puntualmente in ogni campo, a testimoniare la validità della nuova strada intrapresa.
E in effetti le scoperte e le conquiste della scienza sono così tante e importanti, che nessuno può mettere in discussione il valore del metodo che ci ha permesso di conseguirle e la necessità di continuare ad applicarlo per progredire ulteriormente. Ecco perchè è così difficile far capire che anche la scienza ha i suoi limiti e i suoi pericoli.
E se il metodo d’ indagine della natura è rimasto immutato in questi ultimi tre o quattro secoli, purtroppo altrettanto si può dire dell’ atteggiamento psicologico che lo ha motivato.
Per spiegarmi meglio, e per dimostrare che non si tratta di una mia personale interpretazione, desidero riportare le testuali parole con cui si esprimeva Francis Bacon (forse meglio conosciuto come Bacone, uno dei filosofi che hanno gettato le fondamenta del moderno pensiero scientifico), a proposito dl come doveva essere messo in atto il nuovo metodo empirico-induttivo che egli stesso aveva formulato.
La natura, così sosteneva, doveva essere “rincorsa nelle sue peregrinazioni“, “costretta a servire” e “resa schiava“. Pertanto il compito dello scienziato doveva essere quello di ”metterla in ceppi, allo scopo di strapparle i suoi segreti con la tortura”.
Il fervore di queste affermazioni e i termini usati, che ci riportano in modo evidente ai processi per stregonerìa e alle torture inflitte alle donne che ne venivano accusate, piuttosto frequenti all’ inizio del Seicento, sono un esempio esplicito della volontà di dominare e controllare la natura. Un atteggiamento autoassertivo, arrogante (e anche patriarcale, dato che la natura, come le streghe, era considerata di genere femminile) , che si contrapponeva a quello che era sempre stato prima di Bacone.
Infatti prima del Rinascimento la conoscenza (allora non si chiamava ancora “scienza”) veniva perseguita “per conformarsi all’ ordine naturale” o, “per fluire nella corrente del Tao“, come si esprimevano i Cinesi. Insomma obiettivi integrativi, ecologici, come potremmo oggi definirli.
Da allora in poi invece, scienza e tecnologìa sono state usate sempre più per scopi che si rivelano in qualche modo antiecologici, nel senso ampio del termine.
Perchè se questo può essere del tutto evidente in tutte quelle attività più a stretto rapporto con la tecnologia (produzione industriale e consumismo in genere), anche nel modo comune di intendere la salute e di gestirla si vengono a creare, per l’ individuo, come pure per la società e l’ ambiente, situazioni che, direttamente o indirettamente, sono all’ origine di problemi perfino più gravi di quelli per i quali la scienza era stata utilizzata.
Le nette delimitazioni e il materialismo scientifico che caratterizzavano il nuovo metodo messo a punto quattro secoli fa furono fatali nello sviluppo della medicina che, nel processo di astrazione che ne conseguiva, perdeva di vista sempre più l’ uomo nella sua totalità e nel suo contesto ambientale.
Dalla nascita della medicina scientifica tutti gli sforzi si sono concentrati nell’ individuare sempre più frammenti di quell’ ammirevole puzzle che è l’ essere umano, senza però per questo comprenderne alcunchè.
Questo è perfettamente esemplificato nel modo stesso di inquadrare e interpretare le malattie da parte degli studiosi, soprattutto dal punto di vista strettamente eziologico (lo studio delle cause, N.d.A.).
Sì, perchè le spiegazioni che la scienza fornisce a proposito delle varie patologìe, nonostante i paroloni da addetti ai lavori, sono spiegazioni che in realtà non spiegano niente, non essendo altro che descrizioni. Esse infatti non affrontano mai il problema di che cosa ha dato origine al disturbo, qual è il suo significato, e perciò danno adito ad ulteriori domande.
Per esempio, dire che un problema è dovuto ad una disfunzione endocrina significa soltanto spostare la domanda, essendo del tutto logico chiedersi che cosa ha causato quella disfunzione.
Altro esempio molto emblematico è l’ assoluta futilità del modo di considerare e di affrontare le allergie da parte della scienza medica ufficiale.
Invece di riconoscere quello che anche un bambino può capire (almeno finchè il suo cervello non viene ancora plagiato dai condizionamenti culturali della società), e cioè che questo tipo di patologìa (tutta moderna, essendo diventata una vera epidemìa sempre più diffusa) ha chiaramente origine all’ interno del corpo, dove si crea una condizione cronicamente disarmonica e malata, a causa dell’ insistenza in un tipo di alimentazione e in stili di vita sempre più innaturali, che riducono così le normali capacità di adattamento all’ ambiente di cui ogni organismo sano è dotato, si cerca sempre e si finisce con l’ individuare “il colpevole” al di fuori, chiamando in causa di volta in volta pollini, acari, peli di gatto e quant’altro. Oppure, quando non si sa che pesci pigliare… ecco pronto il jolly: l’ inquinamento, sicuri di non poter sbagliare, data la sua carica evocativa negativa, anche se non sempre è dimostrata una sua responsabilità nello specifico.
E naturalmente, dato che i “nemici” sono i vari agenti implicati nelle reazioni chimiche immunitarie che ci provocano tanto disagio, quelli che per questo vengono riconosciuti come ”cause”, ecco la necessità di combatterli ad ogni costo con ogni stratagemma farmacologico.
Credo che questo si possa considerare il miglior esempio di una medicina disperatamente sintomatica, che non capisce assolutamente, o non vuole riconoscere, il grosso problema alla base di quelle reazioni innescate dalle più disparate sostanze ambientali, che sono sempre esistite senza aver mai rappresentato un problema, e che vengono tuttavia identificate come “cause” delle allergìe.
Inutile sottolineare a questo punto che vaccini e antinfiammatori non guariscono proprio niente, servendo solo a far sparire i sintomi indesiderati, gli squilibri alla base dei quali continueranno invece indisturbati a covare in silenzio… fino ad organizzarsi presto o tardi in una nuova forma patologica.
Da ciò appare evidente che l’ approccio bio-medico convenzionale soffre di una confusione di fondo, nell’ identificare le cause dei disturbi nei loro meccanismi patogenetici. Perciò, nella mentalità meccanicistica dominante, curare significa interferire con questi meccanismi, intervenendo a livello biochimico farmacologicamente o con qualche altro espediente artificiale, integrando così ciò che risulta mancare, o eliminando tutto quanto c’è di “sbagliato”.
L’ approccio al cancro ne è l’ esempio più emblematico: distruggere le cellule anomale a tutti i costi è la parola d’ ordine.
Ma su questo tema è opportuno ritornarci in un’ altra occasione, dato che è troppo importante per essere liquidato in due parole, non prima però di aver terminato, in un prossimo post, la mia disquisizione appena iniziata. (continua)
Michele Nardella
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