C'è una cosa buona nell'insonnia ai Quartieri Spagnoli: puoi camminare nei vichi quando il tumulto sfuma e qui sembra la Svizzera con i colori di Napoli.
Inizia così "Il mistero dell'orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli" [Guanda] e io, già da queste poche righe, ho sentito una sorta di gratitudine nei confronti di Antonio Menna per almeno 3 motivi:
- ha trovato una cosa buona nell'insonnia;
- ha trovato qualcosa in comune tra Napoli e la Svizzera e io, che da più di un anno vivo in terra elvetica, non ci ero ancora riuscita;
- mi ha messo il dubbio che, magari, negli angoli più affollati, nell'ora di punta di una giornata molto assolata e con un po' di mandolini nelle orecchie, anche la Svizzera può sembrare Napoli (o almeno mi illudo così)
Vi basti sapere che mi è sembrato di essere in giro per Napoli, a volte seduta al tavolino di un bar a prendere un caffè con un amico, altre volte a rincorrere un po' in affanno le giornate pseudo-lavorative, persa in mille piccoli mestieri che compongono a stento il quadro di un lavoro intero così come dovrebbe essere da definizione.
Scritto in prima persona, nel libro la voce di Antonio Menna diventa la voce di Tony Perduto, giornalista e testimone involontario del mistero che agita i Quartieri Spagnoli. In una tranquilla e normalissima mattinata iniziata troppo presto, Tony scende in strada dal suo appartamentino abbarbicato in un palazzone dei quartieri e si trova davanti il cadavere di un orso. Enorme, scuro, misterioso nella sua immobilità fuori natura, l'orso è stato ucciso a colpi di pistola. Tutti sono alla ricerca del colpevole, e forse solo Tony è interessato anche al motivo di una tale esecuzione. Chi aveva un orso in casa o in giardino? Chi lo ha liberato attraverso il dedalo di viuzze del centro storico? E poi, perché è stato necessario ucciderlo?
Ho passato più tempo a parlare alle mie angosce che alle persone. Le ho pure catalogate. Cinque angosce, tutte sul futuro. Una per ogni giorno feriale. Puntuali. Angosce svizzere. Le ho chiamate «migliori amiche».Ma non è del tutto vero, perché Tony parla un po' con tutti o meglio, tutti gli abitanti dei quartieri hanno sempre qualcosa da chiedergli, da dirgli, da raccontargli, soprattutto la signora Amalia coi suoi bicchierini di caffè bollente, e Don Nicola che spunta sempre per guardare verso il balconcino della signora Amalia dall'altro lato del vico. E poi parla tanto anche con Marinella, la sua migliore amica, che ha un sorriso incredibile ma Tony non ha mai avuto il coraggio di dirglielo.
Tony lavora per il giornale più importante della città e, inutile mentire, ho particolarmente apprezzato il realismo con cui viene descritta la situazione dei giornalisti cosiddetti "minori" in aziende editoriali medio/grandi. Oltre al giornalista, infatti, Perduto sbarca il lunario facendo ripetizioni a Carletto detto "Capa 'e puorco" e aggiorna il sito dell'associazione dei floricoltori. Molto spesso, come accade anche nel caso di Tony, quelli che sono considerati poco più che bassa manovalanza delle rotative, sono quelli che hanno più passione e abilità scrittoria. Perduto è un giornalista che piazza notizie di tutto rispetto, eppure il lettore meno esperto del mondo del giornalismo non riuscirà a spiegarsi il sottile disturbo che prova il caporedattore quando lo sente per telefono, non capirà perché il suddetto caporedattore inaspettatamente gli sottragga la notizia di punta per assegnarla all'ultimo galoppino e, ancor meno troverà motivi per l'insabbiamento di quello che sarebbe potuto diventare il fiore all'occhiello delle indagini giornalistiche degli ultimi anni.
Io no, mi sono spiegata tutto, ho trovato motivazioni, spiegazioni, il perché e il per come per ogni schiaffo (morale e non) che Tony Perduto è costretto a sopportare. Perché anche io mi sono trovata in situazioni simili. Perché anche io sono una giornalista. Qualcuno dice che sappia anche scrivere, di mio posso assicurare di mettere una grande passione nell'incastrare parole, una dietro l'altra.
Mi ero ripromessa di leggere "Il mistero dell'orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli" fin dall'uscita, attratta dal titolo e dalla verve dell'autore che già conoscevo per "Se Steve Jobs fosse nato a Napoli" e per la sua pagina su Facebook, ma non ci ero ancora riuscita. Fin quando, entrando per caso in una delle biblioteche più grandi di Losanna, ho visto la copertina del libro da lontano, e come succede quando si vede un vecchio amico che promettiamo sempre di chiamare e poi non lo facciamo mai, mi sono avvicinata e ho deciso di portarlo a casa con me (proprio come avrei fatto con un amico) e mi ha tenuto buona compagnia.
Il libro di Antonio Menna racconta una storia che mi ha coinvolto fin dalle primissime pagine e che, alla fine, se fossi stata a Napoli, mi avrebbe spinto a scendere in strada per vedere le cose con gli occhi di Tony Perduto. Quando è arrivata la data di fine prestito, ho salutato questo libro con un sorriso, lo stesso che avrei riservato ad un amico che sono sicura di rivedere presto.