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Il Mistero della Libertà – Prologo

Creato il 31 maggio 2013 da Unaltrosguardo @maurovillone

Presentazione del Libro al Circolo dei Lettori, via Bogino, 9, Torino martedì 4 giugno ore 18.00. Interverranno con me l’editore Dario Salani e Maurizio Pallante fondatore del movimento per la decrescita felice. pubblico qui il prologo del volume.INVITO MISTERO DELLA LIBERTA'

PROLOGO

Arriviamo così, senza nessun preavviso. Dopo un periodo trascorso in una luce flebilissima, al caldo, senza poter respirare, immersi in un liquido tiepido, nutriti gratis e senza dover masticare, ascoltando di tanto in tanto dei suoni attutiti e andando in giro qua e la raggomitolati, senza sapere esattamente dove. A un tratto esistiamo, senza sapere minimamente da dove si viene. Dopo una faticaccia tremenda per uscire da un buco troppo stretto al di la del quale fa freddo, c’è un sacco di rumore, qualcosa di inconcepibile ci entra nel corpo, dobbiamo tenere gli occhi serrati poiché qualcuno ha acceso una luce esagerata. Lo shock è terribile. Per fortuna qualcuno subito ci mette a letto e da quel momento, a intervalli regolari, c’è qualcosa di caldo e morbido da succhiare. Dopo un certo periodo, mediamente una settantina d’anni, ma possono essere molti di meno se qualcosa va storto o, generalmente, abbastanza di più secondo il trend attuale,  ce ne andiamo. Sempre senza sapere dove.

Tra i due momenti, in quel breve lasso di tempo, capita di tutto. Ma proprio di tutto, nel senso che con circa sei, sette miliardi di individui che circolano sul pianeta possiamo oggi assistere a una quantità enorme di combinazioni possibili. Le storie più assurde come le più banali, avventure incredibili che superano la fantasia o la noia quotidiana più ripetitiva.

Tutto questo, soprattutto, senza sapere perché.

A cosa serva tutto questo, in ultima analisi allo stato attuale nessuno lo sa. Nessuno. O per lo meno nessuno lo sa con certezza, anche se sono state fatte alcune ipotesi. In linea di massima oggi possiamo individuare due scuole di pensiero. Quella che predilige un approccio del tutto razionale al problema. Quella che preferisce invece un approccio più emotivo, istintivo e irrazionale. Non è una situazione scontata. Nel mondo antico scienza e religione erano, per così dire, appannaggio delle stesse persone. E non esisteva questa dicotomia per cui chi studiava la geometria e l’astronomia poteva aver a che fare anche con l’astrologia e le superstizioni. Oggi non è più così. Chi crede in una strada fa fatica ad affidarsi anche all’altra. Quindi chi per esempio ha fiducia nella ragione considera ridicolo tutto quanto riguarda l’irrazionale. Paradossalmente, viene da pensare, questo atteggiamento è del tutto irrazionale, essendo razionale e irrazionale nient’altro che due facce dello stesso poliedro. Che, tra l’altro, di facce deve averne ben più di due.

Comunque stiano le cose nessuno ha un’idea precisa di cosa facciamo qui. I più fortunati, cioè quelli più fortunati a mio modo di vedere, ovvero gli uomini di creatività e passione o di studio e ricerca, possono tentare di farsi qualche idea. Sia che esplorino i meandri della mente irrazionale, sia che prediligano il rigore della ragione. Tutti gli altri vagano in una specie di oblio che si presenta alla loro percezione talvolta come il paradiso talaltra come l’inferno, a volte come benedizione altre come maledizione. Quanti siano gli uni e quanti siano gli altri anche questo nessuno lo sa.  Perché il sapere, così come l’oblio, sono trasversali. E’ quindi possibile incontrare un contadino ricco di saggezza e di poesia come un ingegnere del tutto inconsapevole delle possibilità offerte dalla vita, così come è possibile trovare un artigiano gretto e meschino e un capitano d’industria colto, sensibile e raffinato.

Inoltre l’enorme massa di popolazione attualmente presente sul pianeta e la larga diffusione dei mass-media danno un’idea probabilmente falsata della realtà. Infatti sembrerebbe che la maggior parte della gente sia ignorante e meschina, ma ci sono invece moltitudini, anche viste personalmente dal sottoscritto, che di meschino non hanno proprio nulla. E d’altra parte anche il più gretto degli individui custodisce in qualche modo nelle sue profondità il bisogno di sapere e di capire.

Esistono poi il bene e il male i quali in diverse percentuali si possono ritrovare in ogni individuo così che dal malvagio puro si può passare al santo incontrando tutte le possibili combinazioni. Comunque sia è un fatto che molta gente sembri non occuparsi minimamente di quanto non sia di facilissima gestione per il corpo e per la mente. Per cui apparentemente ci troviamo di fronte a masse enormi di popolazione che non si occupano d’altro che di procurarsi cibo e alloggio, sesso, qualche divertimento che spesso è costituito dal guardare altri che giocano a qualcosa o fanno finta di fare qualcos’altro, un po’ di spensieratezza e sicurezza. Su queste masse spiccano poi individui che sembra siano molto interessati al potere. Così che possiamo assistere molto spesso al triste spettacolo di una classe relativamente ristretta, detta classe politica, che si occupa non della polis come dovrebbe, ma di gestire e spartire il potere in qualche modo. I più bravi tra questi esercitano sorte di tirannie più o meno spinte e di maggiore o minore qualità.

In questo spettacolo teatrale di proporzioni planetarie sembra dunque che gli obbiettivi siano il potere, le relazioni e il possesso di oggetti più o meno grandi, dal gioiello all’automobile, dalla villa ai pantaloni trendy. Soprattutto, il possesso di oggetti atti al trasferimento di dati sembrerebbe essere il più ambito. Dal cellulare al PC, dalla televisione all’antenna satellitare. Quasi una smania, oltre a quella di possedere, di comunicare. Comunicare cosa, ormai forse più nessuno lo sa. Forse solo immagini costruite di qualcosa che non esiste. Siamo oltre alla dicotomia tra l’avere e l’essere. Siamo entrati nel regno del sembrare, nell’era dell’apparire. “Sembro quindi sono” potrebbe essere il manifesto di questa cultura, che cultura non è, lo sembra solo.

Fin da piccolo mi sono sempre chiesto che cosa mi interessasse veramente. A volte mi pareva che la risposta fosse “tutto”, altre pensavo che, in fin dei conti, non mi fregasse un cazzo di niente. Ora, dopo anni passati a godere e a soffrire, vagando qua e là per il pianeta mi sono reso conto che mi importava molto di qualcosa che, purtroppo, pare essere diventato una merce preziosissima. L’essere una persona fra le persone. Cogliere l’intima umanità dell’essere. Esplorare anime, senza analizzarle, ma facendosene pervadere come un’anima tra le anime. Non mi ha mai interessato, in fin dei conti, nient’altro. Non voglio essere presidente, ragioniere, geometra o ingegnere, né dirigente o professore o droghiere né niente. Voglio solo essere io, come un’entità vagante, profonda e consapevole che penetra l’intima essenza delle cose e se ne fa pervadere. Voglio essere una goccia di Dio, un’emozione errante, un animale che si è accorto di esistere.

Il problema è sempre stato, banalmente, quello di sbarcare il lunario, visto che le emozioni erranti non hanno alcuna specializzazione appetibile per le aziende. D’altra parte essere una goccia di Dio ha i suoi costi, nemmeno indifferenti, poiché, come tutti sanno le gocce hanno un ciclo eterno, che le porta, in anni e anni a circolare per tutto il pianeta più e più volte. E se la goccia è una goccia complessa con esigenze corporali, come mangiare, bere, dormire, o spirituali, come leggere e studiare o che sono una via di mezzo, come scopare, piangere, ridere e chiacchierare, i costi lievitano e si rischia di cadere rovinosamente in uno dei casi di cui parlavo prima, le moltitudini allo sbando. Per quanto riguarda questa parte comunque, devo dire di essermela sempre cavata egregiamente, anche se con alterne vicende, alcune irregolarità e qualche aiuto.

La frenesia della vita quotidiana del nostro tempo, che interessa soprattutto le città, ma sempre più anche i paesi e le campagne mi ha sempre lasciato quantomeno perplesso. Dove va tutta quella gente? Cosa vuole…? Negli anni sono diventato soprattutto un abile organizzatore di fughe. Fughe dalla città di ore, giorni, settimane, mesi. Dal canto mio ho sempre avuto la netta sensazione che nei posti dove fuggivo ci fosse tutto. Ma proprio tutto nel vero senso della parola. E non saprei come meglio esprimere questa sensazione dicendo semplicemente di essere convinto che in molti posti del mondo, tantissimi, anzi, forse incredibilmente la maggioranza dei posti, ci sia tutto. Che sia il boschetto dietro l’angolo di casa, una foresta tropicale, la spiaggia di Rio battuta dalle onde dell’Oceano con alle spalle le montagne coperte di foresta, una radura nelle basse valli delle Alpi, un greto di ciottoli lungo un fiume, mi danno sempre la sensazione di custodire, in qualche modo, il tutto. Questa sensazione, tra le altre cose, negli anni ha alimentato la mia pigrizia, perché mi è sempre sembrato assurdo agitarsi per produrre chissà che, quando eravamo già in possesso di tutto. Naturalmente ero perfettamente consapevole del fatto che mantenere comunque una situazione economicamente soddisfacente per poter godere del tutto fosse necessario. Mi limitavo così ad alcune sortite ben studiate che mi permettessero di portare a casa il bottino sufficiente per la sopravvivenza e la fruizione del tutto.

Così già dai tempi dell’università fino a diversi anni dopo ho fatto diversi lavori, dalla carpenteria alla vendita di prodotti e, soprattutto, di spazi pubblicitari. Quest’ultima attività, altamente remunerativa, la quale mi ha impegnato per lunghi anni, ha ampiamente contribuito a farmi prendere coscienza della natura demoniaca di certe cose. Le prime avvisaglie di tale natura erano sopraggiunte con lo studio dei tabulati relativi alla distribuzione delle caratteristiche socioeconomiche dei diversi target di popolazione. Tabulati immensi, che catalogano le persone per età, potere di acquisto, abitudini di lettura e di fruizione dei mass media, e così via analizzando. Tutto con lo scopo di avere un’idea il più chiara possibile su come colpire l’utente con un messaggio pubblicitario e quindi vendere di più e, in ultima istanza, fare più soldi. Ora, se questo meccanismo viene preso niente più che come un gioco, è anche alquanto divertente. Se diventa una ragione di vita, una specie di culto, le cose cominciano a mettersi male. E vi assicuro che, almeno dove lavoravo io c’era gente che avrebbe ucciso pur di raggiungere i risultati sperati o richiesti.

Sembravano tutti impazziti per il denaro, i risultati e la posizione nell’azienda e nella società. D’altra parte non è un mistero che la corruzione sia ampiamente diffusa quasi ovunque, a ulteriore dimostrazione del fatto che il denaro sia diventato per molti di interesse così grande da superare qualsiasi altro tipo di valore. Ma anche le persone oneste, quelle che rifiuterebbero in regalo anche un’agenda in similpelle sono comunque invischiate nel meccanismo della produzione, del guadagno e dell’utilizzo del denaro per accantonarlo o acquistare beni di diversa natura. Orbene, nonostante il fatto che anch’io ritenga ovviamente non solo auspicabile, ma necessario disporre di denaro non solo per la sopravvivenza, ma anche per garantirsi una certa qualità della vita, trovo veramente assurdo che si debba sacrificare molto spesso una vita intera per accumulare beni o titoli che, una volta morti verranno sperperati da qualcun altro. Naturalmente c’è un sacco di gente che in questo meccanismo perverso sembra essere del tutto felice e a proprio agio. Ma io sono convinto del fatto che, nonostante le apparenze, la maggior parte di essi covi nel segreto un senso di insoddisfazione e di inutilità dal quale sfuggono magistralmente con alcuni semplici accorgimenti.

Il primo di questi espedienti è naturalmente quello di non fermarsi mai. Il silenzio e la meditazione sono pericolosissimi per questo tipo di individui. Li porterebbero in breve tempo in un grave disagio psicofisico. Quindi non possono fermarsi. O lavorano o guardano la tv o scopano o dormono o mangiano o si fanno di coca e via dicendo. Il secondo espediente sono i figli. I bambini, come vedremo più avanti, sono una delle cose senza alcun dubbio più meravigliose che l’esistenza possa offrire, ma in certe circostanze sono anche una sorta di oppio dei popoli. Perché faccio quello che faccio? Per mio figlio naturalmente. Perché faccio dei sacrifici? Sempre per mio figlio. Salvo poi rinfacciarglieli un giorno. Comunque in questo modo trovo una motivazione, anche profonda, al trascorrere della mia vita, spesso senza fare quello che veramente voglio. I figli sono un espediente di ferro perché sono veramente qualcosa di magnifico e coinvolgente, anche se d’altra parte non fanno altro che spostare il problema esistenziale più avanti nel tempo.

Una terza scusa per non fare quello che veramente ci piacerebbe e ci renderebbe davvero liberi e felici è il dovere. Questa è per la verità piuttosto blanda e antiquata, ma per quanto possa sembrare strano funziona ancora. Di solito viene utilizzata mischiata al concetto dell’importanza di costruire qualcosa. Come se le merde di case costruite da geometri idioti per esempio in Italia dagli anni cinquanta ad oggi, le quali hanno irrimediabilmente devastato il paesaggio, fossero una dimostrazione di natura divina insita nell’essere umano. In ogni caso questi pochi elementi sapientemente miscelati sono sufficienti a produrre una società che vorrebbe sembrare meravigliosa (e a volte ci riesce) e invece fa acqua da tutte le parti. Una cultura la nostra dove le sacche di apparente benessere e felicità sono basate sullo sfruttamento di altri. Una civiltà dove la miseria è tale da far sì che negli slum, nelle banlieu, nelle favelas di ogni dove sia concentrata almeno la metà di tutto il genere umano. Una società di gente che produce e compra paccottiglia sempre più uguale dappertutto, che siano gingilli inutili o edifici interi. Un’economia che riesce a far finta di reggersi in piedi solo perché in certi posti come la Cina e l’India c’è gente disposta a spaccarsi la schiena per ore pagata una miseria e a passare un’intera vita senza nemmeno esistere.

Un mondo dove il sembrare è così importante non c’è posto per la realtà. E’ così che, anche i più puliti, onesti e avveduti, finiscono per accettare e sopravvivere invece di vivere, creandosi una situazione per lo meno apparentemente vivibile che non li porti a scontrarsi troppo spesso con il reale stato di cose. Quello che sembra più incredibile poi è come situazioni sotto gli occhi di tutti passino totalmente inosservate. Si verifica così che, mentre fasce sempre più ampie di popolazione fa uso di droghe pesanti, dando un segnale di forte e profondo disagio interiore, si pensa che la repressione sia il sistema per far fronte alla situazione. Come se radendo al suolo qualsiasi racket di distribuzione di droga i bambini di strada che sniffano la colla non sentissero più il bisogno di farlo. Credo invece che chi con tanta disperazione tenti di fuggire lo faccia per due ragioni fondamentali. I suoi diritti di base non sono rispettati a tal punto da farlo vivere nell’indigenza più totale e, soprattutto, non ha la minima idea del perché si trova qui, su questo pianeta. E quest’ultima ragione è anche quella, a mio modo di vedere, che porta anche i ricchi, specie quelli più sfondati, a fare uso di sostanze tossiche e talvolta a togliersi la vita.

Potrei continuare per pagine intere a descrivere un panorama terribile. Stiamo vivendo un paradosso, essere in un luogo meraviglioso, dove c’è già tutto, e morire soffocati dai nostri rifiuti. Liquidi, solidi, psichici e gassosi. Ebbene sì, sembra incredibile, ma anche le speranze possono finire, a volte. Chiedetelo a chi è sopravvissuto a un campo di sterminio. Qualcosa dentro di te muore per sempre. Lo trovo inaccettabile.

Voglio pensare che si possa continuare a vivere solo ritrovando i sogni. Come porre fine a un sonno nero e profondo, senza nulla da raccontare, nulla da ricordare. Ci deve essere la possibilità di rinascere sempre, anche quando hai visto in faccia l’orrore in persona. Più volte è successo anche a me. Nonostante questo provo, per l’insieme della mia vita, passata, presente e futura, un senso di grande appagamento, energia e soddisfazione. Se dovessi spiegarmi il perché, il che d’altra parte mi interessa molto relativamente, direi che sono i progetti e i sogni ancora da realizzare a farmi felice. Ma c’è dell’altro. Provo anche, tutti i giorni e per molte ore della giornata, un senso di inesprimibile felicità e di appagamento nell’assaporare la dolcezza di esistere, nel gustare le cose anche più scontate e banali della vita quotidiana. Basta osservare e osservarsi, come se si guardasse da una finestra, e tutto diventa straordinariamente luminoso e gustoso. Come camminare per esempio. L’incredibile incedere del corpo umano.

Un animale strano l’uomo. Un essere (nel mio caso di più lungo di un metro e ottanta) che invece di stare orizzontale si trova in verticale, sfidando ogni logica. Una cosa oblunga e anche piuttosto robusta e massiccia che si regge su due piccole estremità chiamate piedi e che si permette pure il lusso di camminare. Ovvero cade in continuazione, di solito in avanti, fermando la caduta grazie al fatto che punta i suddetti piedi, prima uno e poi l’altro, di fronte al corpo. Riescono a farlo quasi tutti, chi meglio chi peggio. Poi ci sono dei tizi che sanno farlo così bene da fare le gare per vedere chi arriva prima da un punto a un altro. Altri si spostano così bene sul terreno e nello spazio da creare delle figure con il corpo che hanno chiamato danza. Figure che si muovono e che a volte sono così belle da far venire le lacrime agli occhi.

E’ strano. Per quanto trovi ridicolo che tanta gente si affanni a fare una cosa meglio e più in fretta degli altri non riesco a trattenere la commozione quando vedo le prodezze degli atleti olimpici. Sarà perché mi sembra che, in fondo, non cerchino altro che di celebrare la propria esistenza. O di essere amati e di riamare. E’ solo quando arrivare primo diventa più importante di arrivare bene e di esprimere bellezza che la magia si rompe. E oggi la magia si rompe spesso. Si è rotta al punto da far sì che alcuni di questi personaggi prendano delle sostanze per arrivare prima degli altri. Non corrono più per la gioia, non si sa perché lo fanno e non lo sanno più nemmeno loro. E’ quasi come fosse che la vita intera sia diventata una gara. Devi arrivare primo, devi essere il più bravo e, soprattutto, se possibile, devi essere visto in televisione. Quando succede questo il gioco è fatto. Se succede una volta passi le ore successive, fino a qualche giorno dopo, a pascerti dei complimenti altrui. Non ha nessuna importanza cosa tu abbia detto e fatto, l’importante è solo ed esclusivamente che la tua essenza catodica si sia manifestata. L’effetto può durare dalle 24 alle 72 ore, come per il Viagra. Se invece cominci ad essere presente più volte e con una certa continuità diventano più facili in generale numerose operazioni quotidiane. E’ come se lo schermo televisivo fungesse in qualche modo da garante delle tue qualità umane personali. Se sei in televisione per il pubblico sei una persona che, in qualche modo e magari misteriosamente, ha valore. Non importa a nessuno se poi nella realtà la tua vita personale è uno schifo e non riesci a trovare uno straccio di motivo per cui tutto questo abbia un senso.

Poi ci sono i soldi, un argomento scottante. Sembrerebbero avere vinto, ma quanto a lungo possa poi durare la loro vittoria questo è ancora tutto da vedere. Ma per ora occupano, insieme alla posizione sociale, i primi posti della classifica. Per certuni è importante averne e basta, per altri devi anche ostentarne il possesso.

Nella mia città, come in molte altre, è un imperversare di feste, inaugurazioni, mostre ed eventi. Alcuni di questi pongono l’accento sullo status socioculturale, altri sul possesso di beni e di status symbol. Così entri in grandi capannoni pieni di cianfrusaglie che, sei avvertito prima, sono opere d’arte contemporanea. Alcuni di questi oggetti sono buffi e divertenti, altri preoccupanti, taluni incomprensibili. Per questi ultimi per fortuna talvolta ci sono le visite guidate dove ti spiegano per esempio com’è che un frigorifero sopra un altro frigorifero facciano un’opera d’arte. Oppure si va in piccoli locali dove il particolare merita attenzione. Assaggi quella bevanda e non quell’altra e, mentre lo fai, esprimi te stesso mostrando con distrazione quell’orologio e quelle scarpe e non delle altre che non vogliono dire niente.

Nel tempo si impara a dire le cose giuste e a vendersi bene. Sì, perché sei un prodotto. “Tu sei il prodotto Mauro” mi spiegava una volta un tizio che si occupava di marketing. Io ribattevo, seguendo la sua linea, che percepirmi come servizio mi faceva sentire più a mio agio e vendere di più. Così ho imparato a buttare lì qualche frase che illustri vagamente e misteriosamente qual è la mia attività. Una specie di tattica di sopravvivenza.

Ma, come già detto poc’anzi, alla fine dei conti preferisco vivere. Respirare aria fresca, correre, ridere.

L’impulso di fronte a tutto questo, lo ripeto, è la fuga. Nel tempo, anzi, negli anni (ormai decenni) sono diventato un esperto di fughe. Ma proprio esperto. Fuggo con il corpo, ma anche con la mente, a volte con lo spirito, spesso con le emozioni. In passato mi sono anche aiutato con sostanze diverse, ora prediligo altre tecniche. “Torna indietro e combatti da uomo!…” mi diceva un tempo una voce. E io le davo ascolto. Tornavo, provavo, riprovavo e, incredibile a dirsi, spesso vincevo. Ma in fondo non mi dava tutta quella soddisfazione e ora non mi interessa più.

A un certo punto mi sono accorto altresì che la fuga vera, quella davvero preoccupante, è quella da se stessi, ma questa non mi interessa. Anzi, se c’è un viaggio che mi interessa fare è proprio quello all’interno di me. E anche se ho paura dei demoni che ogni tanto vengono fuori dagli anfratti più nascosti, sono disposto ad affrontarli per scoprire che cosa c’è la sotto. Più passa il tempo e più mi accorgo che tutto questo agitarsi in superficie, questo correre di qua e di là, questo voler sembrare, non portano da nessuna parte. E’ nelle profondità degli oceani che c’è davvero la vita.

Mi sembra che un sacco di gente sia terribilmente presa nel suo ruolo, nel personaggio che gli hanno affidato, nella parte che devono recitare. Molti di essi, forse i meno inconsapevoli, finiscono in quel vicolo cieco che chiamano depressione. Non avendo più vie d’uscita devono fermarsi e, qualche volta, la riflessione del momento li porta a cercare il cambiamento, magari attraverso strade alternative. I meno fortunati invece passano la vita a recitare il proprio ruolo, a volte con soddisfazione abbastanza grande da dimenticare che tutto passa in fretta. Troppo in fretta. A un certo punto, mentre senti ancora le sensazioni di quando eri bambino, ti guardi allo specchio e vedi un tipo di persona che quel bambino guardava con ammirazione oppure con timore. E’ allora che ti accorgi che le ultime sequenze di 2001 Odissea nello Spazio non sono una metafora psichedelica, bensì una realtà. Ti accorgi che il tempo non è altro che un’illusione, così come spiegano il buddismo e la meccanica quantistica. La vita è un soffio, un battito d’ali, un lampo. Uno sguardo fugace su un universo troppo grande da affrontare così, in una volta sola. Allora pensi che ci vorrebbero più vite, più tempo. Ci vorrebbe un’eternità per capire tutto.

C’è anche chi pensa che, dopo un pugno insignificante di anni trascorso su questo pianeta, si abbia accesso alla vita eterna. Eterna dico! Non mille o duemila anni, o un milione o un miliardo…..Eterna! Personalmente mi è più facile pensare a un continuo divenire e trasformarsi della nostra essenza. Non una vera e propria migrazione dell’anima, ma un continuo evolversi di uno spirito che, di esistenza in esistenza, esplora i meandri dell’universo.

Per quanto riguarda qui ed ora la mia sensazione è che ci sentiamo sempre più dei numeri e sempre meno delle persone. Siamo troppi. D’altra parte basterebbe fermarsi un attimo e ascoltare, penetrare in profondità le cose, gli eventi, per percepire che le cose non sono così banali e massificate come sembrano. Dietro ogni cosa ce ne sta sempre un’altra. Soprattutto dietro ogni persona c’è una storia infinita. Un vecchio non è solo un vecchio, ma una biblioteca di ricordi, sentimenti e sensazioni. Uno straniero non è solo un immigrato, ma il racconto della storia di un intero popolo che deve fare i conti con un mondo diverso.

Quello che trovo che ci ha fregato è una cosa soprattutto, una cosa precisa. La mancanza di mitico e di sacralità nella nostra esistenza. Abbiamo vinto molte malattie, abbiamo allungato la durata delle nostre vite sulla terra, abbiamo migliorato la qualità della vita sul piano materiale e, perché no, anche su quello etico con l’accrescersi dell’attenzione sui diritti umani o sull’ambiente, tanto per fare un esempio. Ma abbiamo perso il contatto con la terra e i suoi spiriti e non siamo più capaci di percepire il mito.

Quand’ero piccolo non era così. O forse così mi sembra di ricordare. Forse le cose non andavano meglio, forse era peggio, ma mi pare fosse ancora possibile percepire il sussurro del mistero. Ho riflettuto parecchio su questo. Non voglio pensare al passato come a qualcosa di meglio, anche perché non penso davvero che sia così. Forse lo percepivo diversamente proprio perché ero un bambino e, in proporzione, era anche più bambino il mondo in cui vivevo. Credo che il problema reale sia ipotizzare modelli di sviluppo che utilizzino la tecnologia salvaguardando le tradizioni e, soprattutto, la capacità di percepire il sacro. Credo dobbiamo tutti recuperare l’infanzia perduta, non per rifugiarci nei ricordi e nell’oblio, ma per tornare a guardare il mondo con stupore e passione, per tornare a percepire l’essenza del mito.

Sul piano pratico credo che dobbiamo liberarci di mille catene e cercare di diventare davvero liberi.



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