“Si ha bisogno di miti quando la realtà è insoddisfacente”, questa frase contenuta in Il pennello e la spada. La via del samurai, scritto da uno dei più grandi esperti italiani di cultura orientale, Leonardo Vittorio Arena, spiega molto sia del volume in questione, quanto del fascino che la figura del samurai continua ad avere tutt’oggi in Occidente. In questo libro, la cui forma sembra essere decisamente zen, l’autore prova a fare luce su quanto vi sia di vero, e quanto sia invece leggenda, nell’immagine che si ha del samurai, fornendo al lettore diverse chiavi di lettura per avvicinarsi ad una figura complessa.
Il concetto di zen, seppur non analizzato a causa del taglio del libro, permea tutta l’opera, fino a diventare forse l’elemento che meglio spiega il complesso rapporto del samurai con la morte, ed in particolare con la morte volontaria, ossia il seppuku. Per capire il modo con cui Arena struttura il testo, diventa quindi fondamentale il breve dialogo finale tra l’autore ed un americano autoproclamatosi samurai. In quel breve scambio di battute sono infatti inseriti gli elementi fondamentali di comprensione dell’intera opera, e dello stesso zen che “più si studia e meno si conosce“
Il samurai è diventato, nella vulgata comune, il combattente fedele all’autorità pronto a seguire il suo capo fino alla morte, ligio ai suoi doveri più di quanto sia attaccato alla sua stessa vita. In sostanza il rappresentante supremo di una cultura del dovere della quale la cultura nipponica è intrisa, e che l’Occidente ha fatto sua banalizzandola nell’etica del lavoro, creando dei samurai calvinisti la cui missione è di fatto permettere a qualcuno altro di accumulare soldi; il tutto basato su una lettura, a dir poco “spinta”, di Sun Tzu e della sua arte della guerra. Ma come Arena dimostra, lo “spirito samurai” andava ben oltre la fedeltà, nemmeno sempre presente, al capo, essendo la morte non altro che un modo per sfuggire al disonore, uno strumento per dare un senso alla vita. E si ritorna al non sense, la vera anima dello zen, sebbene l’autore lo ritienga troppo abusato come strumento di analisi.
Non a caso la figura del samurai, così come lo stesso Giappone, ha sempre fatto presa in certi ambienti neofascisti, essendo stata facilmente collegata all’immagine, che tanta parte ha nella dottrina evoliana, dell’uomo in piedi tra le rovine. Che sia indifferenziato, o che sia samurai, quell’uomo è portatore di una superiorità verso il resto del genere umano estetica prima ancora che filosofica. E a ricordarcelo c’è Mishima, con il suo seppuku in diretta TV, disperato appello fatto ad un mondo che si sa incapace, e non interessato, ad ascoltare. Qualcosa che si riallaccia al futurismo dannunziano, ma molto più spirituale e senza il mito del progresso (senza entrare nel merito di un futurismo pre e post D’Annunzio). Tuttavia per mantenere quest’immagine eroica il prezzo è stato la cancellazione delle donne samurai dalla Storia, altrettanto dimenticate delle donne ninja.
Interessantissimo poi il capitolo dedicato all’omosessualità dei samurai, il “colore maschile”, che tratteggia un guerriero ben più amante degli appartenenti al suo sesso che del genere femminile. E non sembra un controsenso, a cosa porta infatti il senso di superiorità se non ad una comunità chiusa, dove anche il sesso è inter pares? Non ha caso, dice Arena, prima ancora dei samurai i giovani discepoli erano amati dai monaci. La pulsione sessuale è ineliminabile nel genere umano, e se a questo aggiungiamo una cultura che mette la donna in secondo piano (arduo dire cosa origina cosa), è facile capire come il senso di cameratismo spinto all’estremo porti a comportamenti omosessuali. E non deve stupire nemmeno che anche il nazismo fosse pervaso da questa ambiguità e che oggi esistano gruppi di neonazisti dichiaratamente gay.
Ma cos’è il samurai oggi, la cui miglior rappresentazione è forse il film Ghost Dog di Jim Jarmusch, se non una figura mitizzata in cui cercare la forza per affrontare una realtà che non soddisfa, in un teso equilibrio tra azione e cultura (il pennello del titolo)? Come scrive Arena il samurai è qualcuno che gode di una estrema libertà sapendo da sempre di essere morto, partecipe di un’etica che reca tranquillità anche a coloro che samurai lo sono solo nello spirito, sempre parafrasando l’autore, non senza una strizzatina d’occhio. Il modo in cui poi ognuno utilizza la sua libertà è un’altra questione.