Il mito di Io e il pavone

Creato il 17 settembre 2012 da Dino Licci


Quando si riprendono in mano i vecchi testi scolastici, ci si accorge che quelli che sembravano odiosi compiti di traduzione dal latino, erano in effetti meravigliosi racconti dal sapore fiabesco ambientati nell’antica Grecia i cui abitanti, con la loro religione politeista, erano certamente molto più felici di noi. Prendiamo, ad esempio, le “Metamorfosi” di Ovidio e gustiamoci i suoi racconti arricchiti da un pantheon di divinità che spesso interagivano con gli umani avendo con essi in comune gli stessi vizi e le stesse virtù. Zeus, per esempio, era un impenitente dongiovanni, sempre in cerca di belle fanciulle da sedurre mentre la gelosissima moglie Era lo controllava a distanza scoprendo quasi sempre le sue malefatte.

Uno dei tanti miti che ci sono pervenuti ci racconta la storia di Io, sacerdotessa di Era, figlia di Inaco re di Argo e della ninfa Melia. Quando questa bellissima fanciulla fu notata da Zeus, cominciarono i suoi guai. Zeus infatti cominciò a corteggiarla insistentemente ed arrivò a proporle di vivere in una casa del bosco dove lui l’avrebbe protetta da qualsiasi insidia andandola di tanto in tanto a trovare come fosse stato il suo sposo. Ma Io non solo non accettò la proposta, ma cominciò a fuggire da lui terrorizzata di essere diventata oggetto della concupiscenza del potente dio. Zeus allora cominciò a seguirla trasformandosi in nube, ma Era, che conosceva i sotterfugi del marito (ricordate quando fecondò Danae trasformandosi in pioggia dorata?) , subito s’insospettì vedendo quella strana nube correre per i boschi e intuì il tradimento.Ma anche Zeus capì che stava correndo il rischio di essere scoperto, così decise di trasformare la bella fanciulla in una candida giovenca. Una moglie normale a questo punto si sarebbe calmata e mai avrebbe sospettato che in una giovane vacca si nascondesse la bella sacerdotessa. Ma Era aveva un intuito eccezionale e, per essere certa di non essere tradita, pregò Zeus di donarle l’animale. Pensate al povero Zeus combattuto tra l’amore per la fanciulla e la paura della terribile moglie. Cercò di tergiversare, cercò delle scuse da addurre alla moglie mentre s’impietosiva pensando a quale orribile destino andasse incontro la bella Io. Ma alla fine cedette, regalò la giovenca a Era pensando di poterla in seguito liberare. Ma Era, che aveva previsto tale eventualità, affidò la giovenca alla custodia di Argo, il gigante dai cento occhi che i greci chiamavano Panoptes per questa sua prerogativa. Panoptes infatti in greco significa “colui che vede tutto” e infatti Argo riusciva a sorvegliare la giovenca sia di giorno che di notte, perché i suoi cento occhi, che erano sparsi per tutto il suo corpo, dormivano a turno, cinquanta per volta, così che egli non si addormentava mai completamente. Cominciò per Io una vita terribile, del tutto simile a quella di una vacca e per di più legata la notte e sorvegliata dal terribile Argo. Ma anche Zeus soffriva tra mille rimorsi e il suoi cervello inquieto cercava invano una soluzione ed alfine si decise a chiedere la collaborazione di Ermes, il messaggero degli dei così astuto e ingegnoso da essere considerato il protettore dei ladri oltre che dei mercanti. Ermes era stato così precoce che, durante il suo primo giorno di vita era riuscito non solo ad inventare la lira che suonava magnificamente, ma anche a rubare un’intera mandria di buoi ad Apollo che, scopertolo, poi lo perdonò e addirittura gli donò i buoi, soggiogato dal canto melodioso che la sua lira riusciva ad emettere.Ermes quindi, su richiesta di Zeus, volò dall’Olimpo sulla terra e, .camuffatosi da pastore, si presentò ad Argo suonando la siringa, un altro strumento musicale formato da bastoncini di canna e con quel magico suono lo incantò. Argo finalmente chiuse i suoi cento occhi ipnotizzato dai meravigliosi suoni che il dio sapeva effondere inducendo un sonno profondo a chiunque lo avesse ascoltato. E una volta addormentato il gigante, Ermes lo uccise facendolo precipitare giù da un’alta rupe. Io così fu salva e dopo molte altre peripezie traversò a nuoto il mare che da lei perse il nome di Ionio ed infine approdò in Egitto dove potette riprendere finalmente fattezze umane. Era, venuta a conoscenza della morte di Argo, almeno volle salvare i suoi cento occhi e non trovò niente di meglio che sistemarli sulla coda del pavone, animale a lei sacro.


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